Secondo compleanno della legge Fini-Giovanardi

 

Oggi ricorre il secondo compleanno della Fini-Giovanardi, una delle leggi piu’
repressive nel mondo occidentale contro il consumo ed il mercato delle droghe
illegali. Era il 21 febbraio 2006 quando il Parlamento approvo’ la legge di riforma
sulle tossicodipendenze, modificando in fase di conversione un decreto legge per
assicurare il corretto svolgimento delle olimpiadi invernali di Torino.

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Firenze: 66% di detenuti stranieri e 38% di tossicodipendenti

 

Firenze: 66% di detenuti stranieri e 38% di tossicodipendenti

Da Ansa, – 12 febbraio 2008

Il 66% della popolazione
detenuta a Sollicciano è costituita da stranieri, in maggioranza
extracomunitari, i tossicodipendenti sono il 38%, dei quali il 23% in
trattamento metadonico e il numero delle detenute donne è in media
intorno alle 70-80 unità. Sono alcuni dei dati che fotografano la
situazione del carcere fiorentino, contenuti nella relazione annuale
che Franco Corleone, Garante per i diritti dei detenuti, presentata
ieri in Consiglio comunale. Le presenze a Sollicciano si sono
stabilizzate su circa 700 unità, cifra che si situa a metà tra il
livello dei 1.000, prima dell’indulto, e i 500 immediatamente dopo la
sua approvazione. Dalla relazione emerge che, dall’emanazione del
provvedimento di indulto al 3 dicembre 2007, sono stati dimessi 582
detenuti, dei quali 400 con procedimento definitivo (157 italiani, 243
stranieri e 182 per revoca della custodia cautelare). Sono invece 137,
quelli che hanno fatto rientro dal febbraio 2006 al dicembre 2007.

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fuma spinelli, matrimonio annullato

Il marito fuma spinelli,
il matrimonio è stato annullato

Decisione della Corte di Appello di Salerno che si è uniformata all’annullamento del Tribunale ecclesiastico

 

CAMPAGNA (Salerno) – Matrimonio annullato perché lei non era a
conoscenza che il marito facesse uso di sostanze stupefacenti. La
sentenza è della Corte di Appello di Salerno che, con una decisione di
cui non risulterebbero precedenti specifici, si è uniformata
all’annullamento del Tribunale ecclesiastico. Protagonisti della
vicenda due giovani originari di Campagna, nel Salernitano i quali,
dopo il matrimonio celebrato nel 1993, si erano separati per la
scoperta, fatta dalla donna, che il marito usava droghe leggere.

LA DECISIONE DELLA CORTE D’APPELLO – Dopo l’annullamento
disposto dal Tribunale ecclesiastico, i due hanno quindi chiesto che
venisse dichiarata efficace, da parte della Repubblica Italiana, la
sentenza di nullità del matrimonio concordatario. Da qui la decisione
della Corte di Appello di Salerno, che ha accolto la richiesta rendendo
efficace, nello Stato italiano, la sentenza ecclesiastica. La donna,
«ragazza di provincia cresciuta in una famiglia all’antica – si legge
nella sentenza del Presidente relatore Angelo Rossi – voleva che il
marito fosse un uomo integro sotto ogni aspetto». Nonostante l’errore
sulle qualità personali del coniuge non sia incluso dall’Ordinamento
statale come causa di nullità del matrimonio, la Corte ha però
confermato che la nullità del Tribunale eccelsiastico non è «in
contrasto con l’ordine pubblico». La Corte d’Appello ha quindi accolto
la richiesta dei due giovani, dichiarando esecutiva nella Repubblica
italiana la sentenza di annullamento pronunciata dal Tribunale
ecclesiastico interdiocesano salernitano.


15 febbraio 2008

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Un esercito di coltivatori

Né contadini né persone legate alla criminalità: spesso i coltivatori sono studenti
Tanti cominciano per uso personale poi capiscono che la marijuana può essere un affare

Cannabis, l’oro verde del Sud
L’autoproduzione diventa business

di SALVO PALAZZOLO

<B>Cannabis, l'oro verde del Sud<br>L'autoproduzione diventa business</B>

Piante di cannabis sequestrate dalla polizia

PALERMO
– Lo chiamano l’oro verde del Sud. Centinaia di ettari perfettamente
curati, decine di serre sparse tra Sicilia, Calabria, Puglia e
Campania, un numero imprecisato di vivai che lavorano a pieno ritmo per
rifornire di piantine – che poi diventeranno arbusti alti due metri –
una nuova e molto particolare generazione di agricoltori. L’oro verde
del Sud è la cannabis, da cui si producono marijuana e hashish.


Chi coltiva la cannabis non è in realtà un vero contadino, ma neppure
un criminale incaricato da chissà quale organizzazione di trafficanti.
I nuovi produttori di cannabis hanno 25-30 anni, al massimo 40. Sono
studenti, impiegati, imprenditori e commercianti. Spesso con qualche
insuccesso professionale alle spalle, quasi sempre senza precedenti
penali.


Sono un vero esercito, a leggere l’ultima relazione semestrale della
Direzione centrale dei servizi antidroga. Un esercito che si ingrossa
ogni giorno. L’anno scorso, la Cassazione aveva stabilito: "Non
commette reato solo chi coltiva in casa, e per uso personale". Ma
quest’anno, è arrivato il dietrofront degli ermellini: "È penalmente
rilevante la coltivazione anche di una sola piantina".

Qualche cifra. Nel 2006, da Bolzano a Ragusa, sono stati pescati 150
neo-coltivatori di cannabis. Nei primi sei mesi del 2007 la quota era
già salita a 228. Vuol dire che in un anno il numero si è quasi
quadruplicato. E per l’intelligence antidroga si è aperta ufficialmente
la stagione di un’inedita guerra contro l’esercito dei produttori
fantasma. Dice ancora il rapporto della Direzione centrale dei servizi
antidroga che il bilancio degli ultimi sequestri di carabinieri,
polizia e finanza è stato da record nel 2007. Al primo posto c’è la
Sicilia, con 1.426.974 piante di cannabis. Segue la Calabria, con 7.250
esemplari, che restano da record nazionale, perché l’acqua
dell’Aspromonte ha fatto germogliare piante alte fino a tre metri. In
Campania e in Puglia ne sono state trovate un migliaio.

Applicando l’antica regola della Dea americana – "In materia di droga
il sequestrato è poco meno del 20% del circolante" – si arriva a cifre
stratosferiche. È come se nel Mezzogiorno ci fosse un’unica enorme
piantagione di cannabis, grande quanto un parco nazionale. Con tutto
ciò che ne deriva: la cosiddetta "filiera", che dal produttore al
trafficante al consumatore coinvolge migliaia di persone.

Ma chi sono veramente i protagonisti dell’ultimo business agricolo
italiano? Eccoli, gli insospettabili. Lo studente Pasquale F., 24 anni,
da Siracusa, si mise in posa davanti all’ultima pianta di cannabis
nascosta nel giardino del nonno e si immortalò col videotelefonino.
Però, aveva fretta di tornare a casa e perse per strada il marsupio con
il telefonino e le foto. Quando i carabinieri lo convocarono, Pasquale
F. offrì subito una ricompensa all’onesto cittadino che aveva ritrovato
quanto gli apparteneva: qualche minuto dopo, confessava in lacrime. Il
giardiniere Alessio Abbate, da Palermo, era invece sicuro di aver fatto
le cose per bene, dopo anni di letture collezionate in una vera e
propria biblioteca casalinga. Ma una serra fra le ville liberty di
Mondello non poteva passare inosservata.
Davvero tanti
insospettabili hanno cominciato con il vaso in balcone e poi, prendendo
gusto al business che vale 400 euro a pianta, hanno iniziato a lavorare
su grandi numeri.

L’oro alto due metri cresce soprattutto nelle vallate ben nascoste
attorno a Partinico, un tempo capitale del vino, oggi laboratorio dei
nuovi assetti della mafia palermitana. Cresce lungo la costa sud della
Sicilia, da Castelvetrano a Gela, dove le serre della droga confinano
con quelle delle melanzane. L’oro verde cresce ancora fra i ruscelli
che scorrono dentro il cuore dell’Aspromonte, in mezzo a Cardeto e
Bagaladi. Sulle terrazze della costiera Amalfitana il gran caldo dello
scorso luglio ha invece anticipato il periodo di maturazione. A
Brindisi, i nuovi agricoltori fanno concorrenza ai trafficanti
albanesi. Dicono gli 007 dell’Antidroga che gli insospettabili
preferiscono però restare nei campi. Alla commercializzazione ci
pensano gli altri della filiera.

I produttori più grandi di Sicilia avevano scelto un ettaro a San
Cipirello, nel regno un tempo dei boss Brusca. "Quello era un
investimento per la criminalità organizzata", spiega il colonnello Teo
Luzi, comandante provinciale di Palermo. I proprietari di quella
piantagione da un milione di arbusti erano due imprenditori che
cercavano di farsi strada nei vuoti di mafia del dopo Provenzano. Le
indagini proseguono, per comprendere meglio il loro ruolo. "Al momento
– dicono i carabinieri di Monreale – abbiamo fermato il finanziamento
che dalla piantagione poteva arrivare ad altri affari".

Uno degli ultimi pentiti di mafia, Emanuele Andronico, aveva avvertito:
"Dietro il boom dei vivai di cannabis c’è Cosa nostra". Così, sempre
più spesso, gli insospettabili cercatori dell’oro verde si ritrovano a
incrociare qualche "strano signore", come l’ha chiamato qualcuno. Il
signore delle mafie. Per acquistare semi o piante. Per pagare la
"tassa" del territorio. Ma questi sono solo problemi successivi.
Cominciare non è difficile.

Il decalogo del perfetto coltivatore è su Internet. Il sito più
gettonato (dall’inequivocabile titolo freecannabis, sede in Svizzera)
continua a lanciare proclami antimafia prima di offrire le istruzioni
per la semina: "Bisogna autoprodurre per non doversi affidare agli
spacciatori". I cercatori dell’oro verde vantano una visione della
società. "Si fanno forti del fatto che l’uso di eroina e cocaina è
disapprovato oltre che percepito come rischioso per la salute",
spiegano gli esperti del ministero della Solidarietà sociale nel
rapporto al Parlamento: "Maggiore tolleranza si rileva rispetto alla
cannabis".

Un’indagine di Ipsad-Italia spiega che "il 35-40 per cento della
popolazione scolarizzata tra i 15 e i 19 anni approva l’uso di cannabis
e lo stima come comportamento non a rischio per la salute". Estendendo
l’indagine ai più grandi, emerge che in Italia i "sì" alla cannabis
sono ormai quasi 10 milioni.

(15 febbraio 2008)

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Cronache di ordinario proibizionismo

 

Roma: coltivano marijuana a casa, tre arresti

ROMA
(14 febbraio) – Tre spacciatori arrestati e una piantagione casalinga
di marijuana sequestrata. E’ il bilancio di un’operazione della Polizia
della capitale al Casilino Nuovo, che questa mattina ha portato al
sequestro di 10 piante di marijuana, di cui 5 alte circa un metro, di
mezzo chilo di sostanze stupefacenti, tra marijuana e hascisc e
numerosi strumenti per la coltivazione, come lampade alogene e timer.
Le tre persone arrestate erano fino ad ora incensurate e si tratta di
una coppia di romani di 30 e 24 anni e il fratello diciannovenne del
ragazzo. La coppia era stata condannata ad otto mesi di reclusione, per
detenzione ai fini di spaccio, ma è stata quasi subito rimessa in
libertà, mentre il fartello minore è stato assolto.

Il
dirigente del commissariato, Bruno Failla ha spiegato che «l’operazione
rientra nelle attività di controllo del territorio per l’individuazione
di punti di spaccio nel quartiere. Abbiamo individuato un via vai di
persone in una piazza nei pressi di un bar, che si recavano lì per
comprare stupefacenti e la coppia che spacciava tutte le sere. Nella
perquisizione dell’appartamento abbiamo trovato una serra rudimentale
ma efficace, ricavata in una stanza. Li abbiamo stroncati sul nascere,
poiché pare che spacciassero da dicembre».

 

 

Scoperto dai carabinieri con uno spinello
li aggredisce: arrestato un algerino

ROMA
( 14 febbario) – I Carabinieri della compagnia Roma Eur, hanno
arrestato un algerino di 26 anni per resisenza al pubblico ufficiale,
ed ubriachezza molesta. Il giovane, stava confezionando uno spinello,
quando ha visto passare una pattuglia dell’Arma che si stava
avvicinando.

Temendo di essere sorpreso con lo stupefacente,
il 26enne, si è scagliato contro i militari per guadagnare una via di
fuga ed evitare di essere identificato, ma gli agenti sono riusciti, a
bloccarlo e ad ammanettarlo.

L’esagitato algerino, che è stato
trovato in possesso di alcune dosi di hashish, è stato anche segnalato
alle autorità competenti.

 

 

Palermo, coltivavano un milione e mezzo
di piante di cannabis: sei arresti



PALERMO
(14 febbraio) – Un milione e 500 mila piante di cannabis sequestrate
coltivate su oltre cinque ettari di terreno a San Giuseppe Jato e San
Cipirello. La maxi piantagione è stata sequestrate dai carabinieri del
Gruppo di Monreale che hanno eseguito sei ordinanze di custodia
cautelare in carcere nei confronti di presunti componenti di della
banda del palermitano.

I provvedimenti sono stati richiesti
dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Palermo. I sei
arrestati devono rispondere di associazione a delinquere finalizzata
alla produzione e al traffico di stupefacenti aggravata dal metodo
mafioso.

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caso Bianzino, la perizia non ha risolto il mistero

 

Da Il Manifesto, di Emanuele Giordana – 9 febbraio 2008

I medici legali della
procura dicono che Aldo morì per un aneurisma. Cause naturali dunque.
Ma troppe zone d’ombra dai contorni confusi restano senza risposta.
Tocca ora al magistrato decidere come procedere per scoprire una verità
senza macchie e interrogativi.

Aldo Bianzino morì per cause
naturali. La perizia medico legale depositata dai dottori Anna Aprile e
Luca Lalli sembra non avere grandi dubbi e tutti i dati "depongono per
una emorragia sub-aracnoidea dovuta a rottura aneuristica" che produsse
"un’insufficienza cardio-respiratoria". Che uccise Aldo. Inoltre il suo
corpo non riporta traumi evidenti il che fa scrivere ai due medici che
"la possibilità che Bianzino possa avere subito un insulto traumatico
anche modesto in grado di produrre la rottura dell’aneurisma cerebrale
deve essere considerata un’ipotesi non supportata da alcun dato
biologico".

Un trauma per la verità c’è, al fegato. Che
risulta strappato e lacerato. Ma, come attesta la letteratura medica,
casi di massaggio cardiaco che hanno portato a questi risultati, pur se
rari, ne se trovano.

Aldo Bianzino entrò nel carcere
Perugino di Capanne il 12 ottobre dell’anno scorso. Stava bene. Era
"calmo e tranquillo". Poi la mattina del 14 un aneurisma, un piccolo
rigonfiamento di un vettore sanguigno, esplode. Viene soccorso alle 8
dopo che una guardia si accorge del suo corpo inanimato sul lettino
della cella. I medici del carcere le provano tutte: gli fanno anche un
massaggio cardiaco che dura 22 minuti. Inavvertitamente gli fanno a
pezzi il fegato. Ma non c’è nulla da fare. Quando arrivano i dottori
del 118 c’è solo, alle 8.30, da constatare il decesso. Tutto è chiaro,
limpido quasi certo.

La perizia ammette alcune zone
d’ombra. Si spinge addirittura a scrivere che "può ascriversi a lata
ipotesi" l’idea che Aldo "possa essere stato colpito con modalità in
grado di mascherare lesività esterne". Suggerisce che forse, visto che
tra l’emorragia e la morte passarono alcune ore, da due a otto,
qualcosa si poteva fare pur se resta difficile determinare cosa. Forse.

In
buona sostanza Bianzino aveva nel corpo una bomba a tempo che prima o
poi sarebbe esplosa: fu colpa del carcere se accadde in quel momento?
La perizia non sembra escluderlo ma esclude che vi sia stato un
evidente elemento scatenante. A restare alle parole fredde della
perizia, e ai commenti a caldo delle guardie penitenziarie di Capanne
che hanno accolto con sollievo le conclusioni dei due medici incaricati
dalla procura, tutto sembra procedere senza una grinza. Un uomo
condannato dal suo destino vascolare entra in carcere così come sarebbe
potuto entrare in pasticceria.

La bomba a tempo lavora
contro di lui. Esplode quando meno se la aspetta. Muore nel suo letto
forse senza un lamento chissà se chiamando aiuto (gli altri detenuti
dicono che lo fece) durante un lasso di tempo di due-otto ore.
Sconvolto decide anche, chissà come, di mettersi completamente nudo. O
furono i medici a spogliarlo forse cercando l’origine del male oscuro
in momenti di tensione che, per massaggiargli il cuore, fecero loro
lacerare il fegato a un uomo già morto? Il 118 lo trova nudo in
corridoio, altra bizzarria descritta dai referti.

Alle 8.30
ne constata il decesso e poi però, tre quarti d’ora dopo, un
funzionario del carcere va a chiedere a Roberta Radici se suo marito ha
inghiottito qualcosa perché è in coma. Una finzione apparentemente
senza senso per una morte naturale. Ma tutto ciò è ora compito del
magistrato che ha in mano una perizia che non risolve se non il
particolare che Bianzino morì di aneurisma. Una sacca di sangue che si
rompe per maturità o per un aumento della pressione arteriosa dovuto,
dice la letteratura, a svariate cause: dall’attività sessuale a un
forte stato di tensione emotiva, di ansia. Dopo tanti "si dice" la
perizia medica adesso c’è. Ma troppe domande restano ancora senza
risposta.

Due giorni fa Roberta Radici ha incontrato Franca
Rame. L’ex senatrice le ha promesso che seguirà il suo caso con
attenzione e farà tutto il possibile per aiutarla nella sua ricerca
della verità sulla morte del compagno. La Rame aveva già annunciato la
sua intenzione di dare vita ad un grande spettacolo teatrale, i cui
proventi saranno devoluti interamente ai figli ed alla compagna di Aldo.

Un caso chiuso? parla l’avvocato

La
perizia è "generica e lacunosa"secondo Massimo Zaganelli, legale di
Roberta Radici: "lascia aperti troppi interrogativi. E non mi piace un
clima orientato a una generica omissione di soccorso per la quale tutto
si può risolvere in sede civile. Paga lo stato e il caso è chiuso"

La perizia esclude traumi e dice che Bianzino morì per un aneurisma…

Cominciamo dai traumi. La perizia parla chiaramente di quelli al fegato: distacco e lacerazione.

Dovute a massaggio cardiaco…

Si
citano autorevoli ricerche scientifiche ma bisogna leggerle: casi
rarissimi che lasciano del tutto indifferenti. Si può escludere un
evento violento perché nella letteratura c’è qualche caso di massaggio
mal fatto?

Ma fu l’aneurisma la causa della morte…

Possibile
certamente, ma la stessa perizia fa emergere molteplici casi che
possono produrlo. Quale fu per Bianzino l’elemento scatenante? Non
certo uno "stress" per limitazione della libertà. Tutti sanno che nel
suo caso si esce di prigione dopo due giorni. E Bianzino, al suo
ingresso in carcere era, "calmo, lucido, collaborante….". Poi però
quella notte succede qualcosa. Cosa? Pare che sia uscito dalla cella
almeno tre volte… Ma c’è altro.

Cosa?

Bianzino
viene trovato dai medici del 118 nel corridoio vicino alla cella. Nudo.
Nudo e in corridoio? E come si spiega la cicatrice nella regione
sacrale che compagna, moglie e figli dicono di non avere mai visto?
Troppi misteri irrisolti che vanno oltre la perizia, alla quale manca,
mi lasci dire, il parere di un neurochirurgo.

Come che sia ci fu omissione di soccorso?

Se
lei vuol dire che Bianzino poteva essere salvato, mi pare evidente. Un
aneurisma, preso in tempo, e qui si la letteratura aiuta, può essere
fermato. Clippato, come si dice. La perizia ammette che, dal momento
iniziale al decesso potrebbero essere passate da due a otto ore. Un
tempo enorme. Cosa accadde in quel lasso di tempo?

In caso di archiviazione?

Ci opporremo. Bisogna vederci chiaro in queste zone d’ombra che restano al momento troppo estese

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5 grammy per amy

LOS ANGELES – Il visto per gli Stati Uniti è arrivato troppo tardi, ma
la forzata assenza non ha impedito alla cantante britannica Amy
Winehouse di stravincere alla cinquantesima edizione dei Grammy Awards,
gli Oscar della musica: ne ha vinti cinque.

La Winehouse,24 anni, ha vinto i premi della canzone dell’anno,
artista rivelazione dell’anno, disco dell’anno, miglior interprete pop
femminile, miglior album pop. Dopo il conferimento dei premi, l’artista
ha cantato via satellite da Londra.

Non era a Los Angeles
perché le era stato rifiutato il visto per gli Stati Uniti e quando
finalmente è arrivato, la cantante, appena uscita da una clinica per
trattamenti di disintossicazione, ha detto che ormai era troppo tardi
per partire.

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Non solo Amy

 

Gianluca Grignani: si’, ho usato cocaina

 
Gianluca Grignani
torna a parlare, dopo un anno e mezzo di silenzio, dell’indagine della
polizia sul traffico di cocaina che lo ha visto coinvolto lo scorso
agosto.
Il processo è ancora in corso e le accuse sono di aver ceduto gratuitamente della cocaina ad una persona durante una festa.
"Non ricordo l’episodio specifico -ha dichiarato il cantante al
settimanale ‘Vanity fair’ in edicola domani- ma non escludo che sia
successo. Perché è vero che ho fatto uso di cocaina".

Grignani ha ammesso di drogarsi sin da ragazzo "perché lo facevano gli
altri, per divertimento, soprattutto per la voglia di provare". "La
cocaina distorce la percezione reale delle cose  pensi che ti faccia
stare meglio e, invece, amplifica i tuoi problemi. Ti dà l’impressione
di avvicinarti agli altri, perché sniffi in compagnia, ma, in realtà,
ti allontana dalle persone". Dopo essere finito su tutti i giornali
Gianluca Grignani ha deciso di smettere con le droghe: "Non vorrei
doverlo dire, ma quel casino un po’ mi ha fatto bene, mi ha svegliato".

Un pensiero è per sua figlia, Ginevra, di tre anni: "il fatto di aver
provato la droga, mi consentirà di trovare il modo migliore per
convincerla a non farlo e credo di avere un’arma in più rispetto a chi
questa esperienza non l’ha fatta". Fiducioso per principio nelle donne
che definisce esseri speciali, il cantante cita come esempi Hillary Clinton ("spero diventi presidente") e Emma Bonino.
Su quanto la droga possa servire a comporre canzoni si è dimostrato
scettico: "È vero che negli anni Settanta molti musicisti facevano uso
di stupefacenti, ma sono convinto che se anche John Lennon non avesse
mai fumato una canna in vita sua, ‘Imagine’ l’avrebbe scritta lo
stesso".

Dopo questa spiacevole vicenda il cantautore
milanese ha deciso di ripartire dal Festival di Sanremo, il suo quinto,
dove presenterà ‘Cammina nel sole’, il brano che darà il nome al suo
nuovo album in uscita il prossimo 14 marzo.

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Diritto alle cure per detenuti anche se dipendenza e’ solo psicologica

 

Diritto alle cure per detenuti anche se dipendenza e’ solo psicologica

 

La sua dipendenza dalla cocaina e’ meramente psicologica, e non piu’
fisica, come hanno accertato i medici del carcere di Pavia e quella
dipendenza e’ sufficiente per ottenere la scarcerazione e darle accesso
all’affidamento terapeutico. Protagonista della vicenda e’ una donna di
43 anni con una condanna per traffico di stupefacenti che sarebbe
scaduta nel marzo dell’anno prossimo, e che ora e’ libera di lavorare
di giorno in un ristorante dell’hinterland di Milano con il solo
obbligo di tornare a dormire in una comunita’ e soprattutto di
sottoporsi alle cure per disintossicarsi pienamente.
Lo ha
stabilito il Tribunale di Sorveglianza di Milano, recependo una
sentenza della Suprema Corte, davanti al quale il procuratore generale
della Cassazione Enrico Delehaye ha sostenuto che ‘e’ stata
giustamente eccepita l’erronea limitazione dell’affidamento ai soli
casi di dipendenza fisica dagli stupefacenti, escludendo la necessita’
di prevenire il pericolo di una ricaduta nell’uso della droga ne’ in
alcun modo valutare quelle forme di assuefazione psichica alle sostanza
psicotrope, ancora piu’ subdole e difficili da superare della semplice
‘crisi d’astinenza’, in forma acuta solo per pochi giorni’. La
questione era stata discussa davanti alla Cassazione in seguito al
ricorso presentato dal legale della donna, l’avvocato Alessandra Silvestri,
con cui si impugnava il precedente diniego dei giudici di sorveglianza.
A ottobre la Cassazione ha accolto il ricorso, che e’ stato a quel
punto recepito dai giudici milanesi il 17 gennaio scorso. ‘Considerato
che trattasi di soggetto affetto da dipendenza psicologica da cocaina
-scrivono i giudici della Sorveglianza- che ha in corso un programma
comunitario di recupero’, deve essere concesso alla detenuta
l’affidamento in prova ai servizi sociali, con l’obbligo di cure.
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la cannabis fa cadere i denti

La cannabis non è innocua: fa cadere i denti
Ecco i risultati della ricerca fatta in Nuova Zelanda


SYDNEY
(6 febbraio) – Non solo polmoni e memoria. La cannabis danneggia anche
le gengive. A indicarlo è una ricerca neozelandese della Scuola di
Medicina di Dunedin pubblicata sull’ultimo numero della rivista
dell’American Medical Association. I ricercatori hanno seguito oltre
900 persone di età fra 18 e 32 anni, monitorando regolarmente il loro
consumo di cannabis e i controlli dentari. E’ la prima volta che una ricerca
dimostra i danni della cannabis sulle gengive. In passato si era
indicato soltanto il fumo di tabacco come causa della malattia
peridentaria.

Quali sono i rischi. Secondo lo studio la
malattia peridentaria che fa retrocedere le gengive e, nei casi più
gravi, causa la perdita dei denti, colpisce più severamente chi fuma
più spesso: una persona su quattro ha contratto una condizione cronica
entro l’età di 32 anni. La malattia peridentaria colpisce normalmente
persone di mezza età ed è la seconda causa di perdita dei denti dopo le
cavità.

I dati. La malattia si è manifestata nel 6,5% dei
casi nei non fumatori di cannabis, nell’11% fra chi fuma spinelli
occasionalmente, e nel 24% fra chi ha ammesso di fumare cannabis
regolarmente sin dall’età di 18 anni. Fra i fumatori abituali, ossia
quelli che fumano in media 41 o più spinelli l’anno, fra 18 e 32 anni,
il rischio di contrarre la malattia è del 60% superiore alla media
della popolazione.

L’appello del ricercatore. Secondo
il ricercatore Murray Thomson «le autorità sanitarie, i dentisti e i
medici dovrebbero intervenire per sollevare la consapevolezza della
forte probabilità che chi fuma regolarmente cannabis causa danno ai
tessuti che sostengono i denti».

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