in decine di migliaia sfilano per la Million marijuana march. E urlano:
«Questa è una città sicura»
Andrea Tornago
organizzatori. Che a meno di una settimana dalla consegna delle chiavi
del Campidoglio alla destra più di cinquantamila giovani e giovanissimi
comparissero in piazza così, come sbucati dal nulla, per rivendicare la
propria alterità e una propria idea di città opposta a quella della
«tolleranza zero» promessa dal neosindaco di An. «Roma è una città
sicura», seguito a ruota da «Alemanno non è il nostro sindaco», gli
slogan più gettonati tra una canna e l’altra, un sorso di vino o di
birra, il reggae di un sound system e la techno di quello successivo.
Li avesse visti, il sindaco, chissà cosa avrebbe pensato.
Il
pretesto? La «Million marijuana march», tradizionale appuntamento
internazionale che da otto anni fa tappa anche a Roma il primo sabato
di maggio. Quest’anno l’occasione era ghiotta: la vittoria di Alemanno
che manda in allarme centri sociali e case occupate, il padre della
legge liberticida sulle droghe Gianfranco Fini alla presidenza della
Camera e il ritorno dello spauracchio Berlusconi. Eppure di quello che
si andava organizzando si sono accorti in pochissimi: non i mezzi di
informazione, tutti senza eccezione alcuna, non i partiti della
sinistra impegnati a raccogliere i cocci della disfatta elettorale. E
così sotto un sole già semiestivo si sono ritrovati in tantissimi,
molto più che negli anni passati.
Per chi è abituato a seguire i
cortei di «movimento», colpisce che non sfili nemmeno un politico,
nemmeno della sinistra ormai extraparlamentare. Ed è la prima novità.
La seconda è la quasi totale assenza di bandiere di partito, tranne
qualche bandiera rossa e qualcun’altra di Rifondazione. Vanno per la
maggiore, se mai, i simboli dell’anarchia. La terza novità è che si
tratta di una manifestazione profondamente politica e non meramente
antiproibizionista. Alessandro «Mefisto» Buccolieri è uno degli storici
esponenti del movimento romano. «Quella che vedi è la Roma
antifascista, libertaria e democratica. Che esiste anche se ha vinto
Alemanno e se viene oscurata dai media. Vedi quanta gente? È qui perché
è cominciata una nuova fase, quella della resistenza», dice.
Il
leit motiv del corteo è quello della sicurezza, già a partire dallo
striscione di apertura che declina il tema in modo molto diverso dalla
vulgata comune. «Sicuri da morire», c’è scritto, e a portarlo sono gli
amici di Aldo Bianzino, morto misteriosamente in carcere a Perugia dove
era stato portato per qualche piantina di marijuana, nel novembre
scorso.
Come spesso accade per questo tipo di street parade, ad
aggregare è soprattutto il piano estetico-musicale. E così, migliaia di
liceali che sanno a malapena cos’è la legge Fini-Giovanardi sfilano
trascinati dall’aria della festa, per il gusto di contrastare un
divieto che percepiscono semplicemente assurdo. E forse più simile agli
assurdi divieti che subiscono ogni giorno tra i banchi di scuola o in
famiglia piuttosto che nei centri sociali o nei collettivi. È un corteo
politico che non vuol prendere la parola nel politico.
Mentre via
Cavour in tutta la sua lunghezza è ormai stracolma di gente che balla e
cammina dietro i camion i turisti e i passanti si fermano a lato e
sorridono. Alcuni non riescono a credere a tutta quella marijuana e si
affrettano a sfoderare la macchina fotografica. Due turiste olandesi
che incontrano il corteo per caso si sentono a casa e si uniscono
sfilando a piedi scalzi, tra gli applausi della gente. Arrivati
all’incrocio tra via Cavour e i Fori Imperiali, tre giovani mascherati
da Berlusconi, Fini e Giovanardi inscenano un rogo di testi
antiproibizionisti.
Il confronto con il corteo del 25 aprile sorge
spontaneo. «Nuove resistenze» è la frase lanciata dal camion che porta
lo striscione «Resistenza psicoattiva», e sembra un rimprovero alla
festa della Liberazione che appena una settimana fa a Roma, dopo la
vittoria della destra alle politiche e sul filo del ballottaggio al
comune, aveva raccolto meno gente e soprattutto non aveva la stessa
forza. La marijuana tira. Ma non è solo una questione di fumo, e forse
la sinistra extraparlamentare dovrebbe guardare con preoccupazione un
corteo così imponente, spontaneo, «desiderante», che non la riguarda.