Out of Control – Venerdì 13 ore 13 al Liceo Virgilio

Out of Control – Venerdì 13 ore 13 al Liceo Virgilio
ingresso lungotevere
de tebaldi

Pochi giorni fa, carabinieri in borghese entravano
nell’istituto Virgilio
e portavano via quattro studenti, colpevoli di avere
con sè due canne. Un intervento delirante, che neppure le forze dell’ordine –
dopo la immediata reazione degli studenti – sono riuscite del tutto a
difendere.

Un intervento dall’alto valore simbolico, anche per la
scelta di un istituto protagonista questi mesi delle mobilitazioni studentesche.
Un intervento che ha avuto una immediata rivendicazione da niente meno che
l’on.Gasparri, che ha auspicato che simili azioni si moltiplichino ed ha
attaccato chi si era subito mobilitato.

Un intervento che dà il
segnale che qualcuno vorrebbe militarizzare le scuole, così come ogni altro
luogo di aggregazione
(come le piazze, sempre piu’ disseminate di
improbabili presidi fissi), ed in generale tutta la metropoli.

E proprio
in questi giorni, la visita di Bush sta evidenziando come qualcuno ritenga la
città una sua proprietà privata
, di cui disporre a piacimento. Stade chiuse,
zone off-limits, migliaia di agenti nostrani ed esteri ovunque, limitazione al
diritto di manifestazione.

Perfino squadre antiwriters che
dovranno garantire che il Nostro non incontri scritte che, ricordandoli cosa
tutti e tutte pensano di lui, possano ferirne la sensibilità.

Qualcuno,
insomma, vorrebbe disegnare una città prigione. Anche a noi piace disegnare, un
mondo diverso. Lo facciamo tutti giorni, e intendiamo farlo anche in questi
giorni.

vENERDì 13 "usciranno i quadri" del Liceo Virgilio.
Nomento simbolico e culmine della peggiore cultura spenta, nozionistica,
accademica e classista
che proprio pochi giorni fa il neoministro ha deciso
di rilanciare, dietro la dicitura da sempre vaga ed ambivalente di
"meritocrazia", ignorando peraltro che la dinamica dei debita sta generando caos
e facilitando abusi, autoritarismi, ipocrisie. Nel frattempo, Bush sarà in
Vaticano
, per incontrasi con uno che al suo pari tenta di determinare le
nostre vite senza che nessuno lo abbia chiesto.

Invitiamo tutti gli
studenti e le studentesse, i giovani precari, i compagni e le compagni, i
professori, i pacifisti e chiunque altro ad una iniziativa di comunic/azione
all’ingresso del Liceo Virgilio, proprio al centro di questa città che qualcuno
vorrebbe vetrina e che invece vive, e si ribella, inevitabilmente e nonostante
tutto.


CONTRO LA MILITARIZZIONE DELLE SCUOLE, DELLE PIAZZE,
DELLA CITTA’
ROMA LIBERA


collettivo autorganizzato del
virgilio ———- collettivi studenteschi e giovanili di roma

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Giovedì 12 giugno iniziativa antipro’ studenti medi

 
 
Italia. Gasparri vuole i Carabinieri nelle scuole. Gli studenti: assurdo, no alla militarizzazione
 

 
‘Ben vengano iniziative come quella attuata nei giorni scorsi
a Roma nel liceo Virgilio, dove sono entrati i carabinieri per fare dei
controlli anti droga’. Lo afferma il presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri.
‘Sconcerta che ci siano studenti che protestino per una iniziativa che
va moltiplicata, conforta il ringraziamento all’Arma del genitore di un
minorenne che portava droga a scuola. La lotta alla droga merita
applausi, non proteste. Aprano gli occhi docenti e personale delle
scuole, prezioso presidio educativo’.

Gli studenti del Virgilio hanno replicato alle dichiarazioni dell’on.
Gasparri. "Riteniamo assurdo che l’onorevole Gasparri giudichi lodevole
l’iniziativa dei carabinieri che in grande stile sono entrati fin
dentro l’istituto per prelevare minorenni e contestargli una sanzione
amministrativa.
Vogliamo portare inoltre l’attenzione sula modalità con cui si è svolto
il fermo. Lungi dall’essere discreto le perquisizioni agli studenti
sono avvenute all’interno dell’istituto sotto gli occhi di tutti i
docenti. Nonostante tre dei fermati fossero senza alcuna droga addosso
sono stati portati via dall’istituto. Le autorità scolastiche, come
d’altronde i genitori dei ragazzi, non sono state informate del fatto
che gli studenti venissero portati via, tanto che senza il nostro
intervento l’episodio sarebbe passato completamente sotto silenzio.
Gli studenti sono stati caricati su una gazzella senza che gli fosse
concesso di chiamare le proprie famiglie e alla richiesta su dove
venissero condotti i militari si sono rifiutati di rispondere.
Denunciamo il grave abuso delle forze dell’ordine contro studenti
minorenni. Infatti in caserma i CC hanno cercato di far firmare ai
fermati e alle famiglie un verbale falso in cui gli studenti dovevano
affermare di essere stati fermati "nel piazzale antistante
all’istituto". Solo la prontezza della madre di uno dei fermati ha
impedito che i carabinieri dichiarassero il falso.
Inoltre i carabinieri sono riusciti miracolosamente a moltiplicare per
quattro (ci spiegassero come!) lo spinello che uno degli studenti stava
fumando al momento del fermo avendolo imputato singolarmente ad ognuno
dei fermati, al fine di giustificare il fermo di tre persone che
semplicemente non avevano sostanze droganti è sulla loro persona nè nel
proprio domicilio.
Rispondiamo alle calunnie della testata giornalistica "Il Giornale" che
ha dichiarato che i collettivi studenteschi protestavano perchè "non ci
lasciano drogare". Abbiamo posto una questione politica ben precisa che
riguarda le modalità del fermo e il cliam di tensione che le forze
dell’ordine stanno cercando di creare in vari istituti di Roma.
L’invito che rivolgiamo a presidi, ai docenti e al personale delle
scuole, a differenza dell’onorevole Gasparri, è quello di non
rinunciare al proprio ruolo educativo e di non rompere il rapporto di
fiducia con gli studenti attraverso gli inutili interventi repressivi
delle forze dell’ordine ma anzi di affrontare l’argomento "droghe" in
maniera chiara e senza allarmismi.
Inoltre ricordiamo all’On. Gasparri che solo un genitore dei quattro
fermati ha espresso soddisfazione per il fermo dei carabinieri, mentre
un’altra madre ha espresso profondo risentimento per il modo in cui suo
figlio è stato portato via dal liceo e per i motivi evidentemente
pretestuosi del fermo.

 Questa la replica dei collettivi studenteschi di Roma, che annunciano
per giovedì 12 giugno, una "iniziativa di massa e cittadina
antiproibizionista, per affrontare la questione delle sostanze e della
militarizzazione degli istituti":

– ci stupiamo non abbia di meglio di fare, in un paese disastrato, che
occuparsi di due canne al liceo virgilio, sospettiamo la solerzia del
senatore derivano unicamente dalla caratterizzazione "rossa" del
Virgilio, ed al suo essere protagonista delle lotte
– la operazione dei carabinieri è stata ridicola, spropositata,
inefficace e pertanto risulta essere una provocazione od una
intimidazione
– al di là di un genitore, sia i docenti che i genitori (oltre che gli
studenti tutti) hanno criticato le modalità dell’intervento
– le politiche proibizioniste hanno dimostrato tutta la loro
inefficacia in questi anni, e pensare di militarizzare le scuole oltre
che far crescere la tensione non servirà ad un ben nulla
– il ministro gasparri si preoccupasse, invece, del livello di tensione
raggiunto nelle scuole per l’operato dei neofascisti, spesso con la
oggettiva copertura delle forze dell’ordine – e si preoccupasse di
capire perchè il Prefetto Mosca, rappresentante del governo, abbia
deciso di seguire una linea di scontro diretto con gli studenti che non
potrà che peggiorare la situazione

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Perde l’auto per uno spinello

Codice della strada, scatta il giro di vite. Vettura confiscata dopo un incidente
CLAUDIO VIMERCATI
SAVONA
Guidava l’auto dopo essersi
fumato uno spinello: gli hanno sequestrato l’auto e forse non la riavrà
mai più. E’ successo a un giovane lombardo in Liguria: Alessandro B.,
21 anni, dopo aver perso il controllo della sua Audi A2 è rimasto
coinvolto in un incidente senza gravi conseguenze per la sua salute.
Ben diverse, invece, sono state quelle penali, perché Alessandro B. non
solo è stato denunciato alla procura della Repubblica, ma si è visto
sequestrare ai fini della confisca anche l’auto, come prevede il
decreto legge in vigore dal 23 maggio scorso e che ha modificato alcune
norme del Codice della strada e inasprito le sanzioni a carico di chi
guida in stato di ebbrezza (con valore alcometrico oltre la soglia cioè
di 1,5 g/l) o appunto sotto gli effetti di stupefacenti.

In
questi casi scatta il sequestro dell’auto (a condizione che chi è alla
guida sia anche il proprietario) a cui seguirà poi la confisca, se
l’automobilista sarà condannato o patteggerà: in pratica l’auto non la
rivedrà più e se vorrà guidare, dovrà comprarsene una nuova. E l’auto o
finirà all’asta o sarà utilizzata dalle forze dell’ordine come già
succede con le vetture che vengono sequestrate a spacciatori o alla
malavita.

Nel caso in questione avvenuto a Savona, il giovane
avrebbe guidato la macchina, secondo quanto contestato dagli agenti
della polizia stradale di Genova, sotto l’effetto di una «canna», dal
momento che agli accertamenti clinici ai quali è stato sottoposto
all’ospedale San Paolo, sarebbe risultato positivo ai «cannabinoidi».
Il nuovo decreto non pone (come nel caso dell’ubriachezza) dei limiti
minimi: per quanto riguarda droghe, un automobilista rischia la
confisca dell’auto o anche se ha fumato un solo spinello, se poi
risulta «in uno stato alterato dal punto di vista psicofisico». Ma non
sarebbe stato appunto il caso del ventunenne, denunciato dalla
Polstrada per guida sotto l’effetto di stupefacenti. Il magistrato di
turno, Maria Chiara Paolucci, ha chiesto il sequestro penale della
macchina «ai fini della confisca» al giudice delle indagini
preliminari.

Il caso del ragazzo «sballato» di Savona arriva
subito dopo quello che ha visto protagonista una 21enne piemontese. In
vacanza in Riviera, qualche giorno fa la ragazza si è imbattuta in un
controllo a Cervo (in provincia di Imperia) ed è risultata positiva al
test dell’etilometro. si era messa al volante e guidava con un tasso
alcolemico di 2,23 g/l, ben oltre la soglia di 1,5 fissata dal decreto.
Anche lei, se condannata, si vedrà confiscare la macchina.

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Giovanardi: parlare o manifestare per la legalizzazione della cannabis deve essere vietato

 
 
29-05-2008, ore 17:12:39
 
ALLARME CENSURA. Giovanardi: parlare o manifestare per la legalizzazione della cannabis deve essere vietato
 

Una legge per dire basta alle manifestazioni pubbliche che si
trasformino in una sorta di sagra della droga, anche se leggera.
L’intenzione del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con
delega alle politiche antidroga, Carlo Giovanardi, e’ quella di
"introdurre strumenti normativi per non permettere piu’ che
manifestazioni propagandistiche, come la tre giorni sulla canapa
(terapeutica, ndr) a Bologna, in programma dal 30 maggio al 1 giugno,
possano svolgersi liberamente". Intervistato dal sito dei ‘Circoli
della Liberta’ di Michela Vittoria Brambilla, Giovanardi spiega:
"Vogliamo dire basta alla cultura della droga. E per farlo vogliamo
introdurre nell’ordinamento una norma che impedisca di fare propaganda,
anche indiretta, a tutte le droghe, comprese quelle cosiddette
leggere". "Questo anche alla luce dell’eccessiva e preoccupante
leggerezza nei confronti delle droghe, che ha contribuito a creare le
condizioni per casi quali quello di Roma, dove un tossicodipendente ha
investito con l’auto e ucciso due giovani fidanzati, e quello di
Milano, dove una banda di spacciatori adolescenti, sgominata dai
carabinieri, riforniva di droga i propri compagni di scuola". 

Piobbichi Francesco (Politiche Sociali Partito Rifondazione Comunista) ha cosi’ commentato:
Se il nuovo sottosegretario con delega sulle droghe vuol contribuire a
ridurre la cultura dello sballo cominci a proporre una legge per
limitare nelle tv del presidente del consiglio le pubblicita’ dirette
degli alcolici che legano piacere e successo con l’utilizzo della
sostanza.  Vietare una manifestazione, come quella di Bologna sulla
cannabis invece  contribuisce a criminalizzare decine di migliaia di
persone che non fanno niente di male, se non discutere del loro stile
di vita. La legge italiana inoltre gia’ prevede sanzioni per chi incita
all’utilizzo di droghe, andare oltre vuol dire di fatto limitare la
liberta’ di parola discrezionalmente. Se i primi atti della destra sono
la negazione del patrocinio e di piazza Navona per il gay pride e
l’annuncio di limitare  manifestazioni come quella bolognese sulla
cannabis,  ci troviamo di fronte ad una classe politica che fa scempio
della democrazia utilizzando di volta in volta i capri espiatori  di
turno per legittimarsi.

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«Senza la speranza vince la cocaina» quarta parte.

 
 
«Senza la speranza vince la cocaina»
Il dominio della competività Emilio Rebecchi
analizza i comportamenti in fabbrica e le cause che fanno crescere il
consumo. Migliorare le prestazioni è funzionale alla produttività La
società è classista, se non hai soldi di famiglia per pagarti la dose
spacci, rubi o ti prostituisci
Loris Campetti
Bologna

«Il carcerato almeno una speranza ce l’ha:
quella di uscire dalla galera, per fine pena o tentando la fuga. Spesso
si ha l’impressione che al giovane, al giovane operaio, sia negata
anche la speranza di fuga. Se a un ragazzo togli la speranza di
costruirsi un futuro gli hai tolto un diritto fondamentale». Il
ragionamento di Emilio Rebecchi segue una logica stringente quanto
disperante. Psichiatra, psicoanalista, attentissimo ai comportamenti
giovanili e alle dinamiche sociali nei posti di lavoro, Rebecchi ha
lavorato a molte ricerche e inchieste ed è a lui che chiediamo un aiuto
per tentare di decodificare le ragioni che stanno dietro la spaventosa
diffusione di sostanze stupefacenti nelle fabbriche, negli uffici, nei
cantieri. Il consumo di droghe tra i lavoratori non rappresenta certo
una novità, ma oggi sono cambiate le motivazioni, le modalità del
consumo, le stesse sostanze assunte e soprattutto, è cambiata la
dimensione del fenomeno. Lo incontriamo nel suo studio sulla collina
bolognese.
«Io ho sempre apprezzato moltissimo Pantani. Mi ha
colpito il ragionamento che faceva ancora prima di diventare un grande
campione: ‘io sono il più forte, diceva, ma se gli altri prendono le
sostanze resto indietro. Bisognerebbe che tutti smettessero, e siccome
questo non avviene sono costretto a prenderle anch’io’. Il ragionamento
non fa una piega, ma così si alza il livello dello scontro. Conosco un
gruppo di bolognesi che pratica il ciclismo per passione, diciamo che
fanno cicloturismo. Lo sai che si bombano anche loro? Mica lo fanno per
vincere, non c’è niente da vincere; lo fanno per competere, per reggere
il livello degli altri. Per non lasciare adito a dubbi di sorta preciso
subito che di questo gruppo non fa parte Romano Prodi». La
competizione, il miglioramento delle prestazioni, sono i nodi centrali
della chiave interpretativa che ci offre Rebecchi. Ma procediamo con
ordine. «Io non criminalizzo la chimica: la chimica esiste, è utile in
mille circostanze. Ma se la utilizzi per aumentare le tue prestazioni,
sessuali, lavorative, persino per divertirti, allora vuol dire che c’è
un problema. Intendiamoci, tanti artisti, poeti, scrittori hanno
assunto droghe per curiosità, per conoscenza. Lo stesso Siegmund Freud.
Ma stiamo parlando del Medio Evo. Oggi i ragazzi si drogano come noi si
beveva il caffè o si succhiava il latte dalla mamma. Per loro farsi una
striscia di coca o un’anfetamena è un fatto normale, persino ovvio.
Senza alcuna solida motivazione il giovane diventa ‘spontaneamente’
consumatore. Incindono molto i modelli culturali (la competizione
spinta all’esasperazione) e interviene un fatto imitativo. Così come da
bambini si vuole andare al Burghy o al Mcdonald’s perché lo fanno tutti
a prescindere dalla schifezza che ti danno da mangiare, così qualche
anno più tardi, con lo stesso atteggiamento, può capitare di farsi di
cocaina. Questo segnala la presenza di un vuoto che spesso si tenta di
riempire con la droga. E siccome la società è classista, se non hai
soldi di famiglia, per pagarti la dose rubi, o spacci, o ti
prostituisci».
Arriviamo al mondo del lavoro. Se con le categorie
interpretative classiche si comprendono alcuni comportamenti ‘devianti’
nel sottoproletariato, è più difficile farsene una ragione quando il
soggetto interessato è l’operaio di fabbrica. «Saltano le differenze
etiche. Ammettiamo pure che in fabbrica a spingerti al consumo possa
essere una condizione difficile, segnata dalla fatica. La fatica alla
linea di montaggio, dove la durata della mansione che si ripete sempre
uguale a se stessa è al di sotto del minuto, provoca effetti negativi
sulla salute dell’operaio, dolori, lombalgie. Una situazione di questo
tipo farebbe pensare che la sostanza adatta ad alleviare la condizione
di sofferenza sia l’eroina che è un anestetico e dunque attenua il peso
e le conseguenze di un lavoro faticoso. Invece sempre più spesso la
droga assunta, anche in fabbrica, è la cocaina. La cocaina è un
eccitante, serve ad aumentare la produzione». Le parole di Rebecchi
sono confermate dal racconto di tanti operai che abbiamo intervistato:
il picco produttivo spesso e volentieri si verifica durante il lavoro
notturno, il terzo turno che è quello dove il consumo di cocaina è più
alto, anche per una rarefazione dei controlli. Se ne deduce, chiedo a
Rebecchi, che la cocaina è funzionale alla produzione e dunque è una
‘droga di sistema’? «Negli anni Settanta l’uso di sostanze poteva avere
una qualche connotazione antisistema, oggi è tutta interna, verrebbe da
dire funzionale al sistema. Non vale solo per gli operai, vale per i
manager, per gli sportivi». In fabbrica c’è chi sostiene che si riesce
a convivere meglio con l’eroina che non con la cocaina… «E’
verissimo, con l’aggravante che la cocaina ha un’azione sulle
arteriole, può provocare microinfarti. Alla lunga ti brucia il
cervello. Un effetto analogo può essere provocato dalle anfetamine di
cui è quasi sempre sconosciuta la composizione».
Come si può
intervenire rispetto a questo fenomeno, come si possono aiutare i
giovani operai finiti nell’imbuto del consumo, in molti casi nello
spaccio per potersi pagare la dose quotidiana? «La cosa che rende più
difficile l’intervento è proprio la mancanza di motivazione sociale
nella decisione di assumere sostanze, che non sia l’aumento della
prestazione individuale e di conseguenza della produzione. Sei
disarmato, anche gli strumenti tradizionali come la psicoanalisi sono
spuntati. Ti può capitare di chiedere a un giovane paziente di fare
delle libere associazioni, dopodiché a un certo punto ti domandi: ma
che vuoi che associ questo poveraccio, se non ha un cazzo di idea nel
cervello? Dico che ti senti disarmato perché se il giovane consumatore,
che sia operaio o studente, non ha una motivazione, quando gli dici di
smettere ti risponde semplicemente ‘e perché? Mi piace’. Guarda che
domani starai male, avrai delle conseguenze gravi sulla salute, gli
contesti, ma ti accorgi che non glie ne frega niente. Il che vuol dire,
lo ripeto, che nelle giovani generazioni c’è una caduta, una rinuncia a
costruirsi un futuro, una prospettiva di vita». E la vita stessa perde
di valore… «Senza ideali, non solo politici o religiosi ma
semplicemente civili, si resta solo dentro una realtà durissima che non
si sopporta più. Così si finisce per tornare all’infanzia, si
regredisce allo stadio all’oralità. Vuoi dimostrare di essere più
potente di chi ti sta vicino».
La scelta può essere individuale, ma
un fenomeno di queste proporzioni assume inevitabilmente un carattere
sociale. Dice Rebecchi: «La regressione è legata alla natura della
società in cui viviamo, e l’aumento della prestazione individuale, in
qualsiasi campo, risponde al comandamento della competitività». Alcuni
operai, a conferma di quanto ci dice Rebecchi, ci hanno spiegato che ci
si fa, e si convince anche il partner o la partner a tirare coca, prima
del rapporto sessuale per migliorare le prestazioni. «E’ la logica
maschile classica di chi vuole dimostrare che ce l’ha più lungo, la
sessualità si riduce all’aspetto penetrativo. Pensi che in un rapporto
sia questo e solo questo a interessare la donna. E ti esalti perché una
striscia di cocaina ti fa sentire più potente ma non sai, o non ti
interessa sapere che col tempo quella roba ti renderà impotente».
Rientriamo
in fabbrica. Alcuni operai sostengono che la cocaina aiuti la
socializzazione con gli altri operai, oltre a migliorare la prestazione
individuale. «Certo – risponde Rebecchi – ma è la socialità della
colpevolezza, certo non è la socialità della condivisione. E’ la
denuncia estrema di una condizione di solitudine. E se in passato
drogavi generazioni intere per mandarle a combattere e morire in
guerra, oggi con la caduta dei valori le distruggi drogandole per farle
produrre di più alla catena di montaggio». Rebecchi conclude il suo
ragionamento tornando al concetto della mancata motivazione
nell’assunzione di sostanze ‘dopanti’, da cui discende la mancata
motivazione a smettere: «Il generale cinese Zhu De era dedito al
consumo di oppio. Quando iniziò la Lunga marcia, prima di assumerne il
comando fece una scelta, aveva una motivazione forte per smettere.
L’unico luogo in cui era vietato il consumo dell’oppio era il fiume
Yangtze, così salì su una barca che scendeva il fiume chiedendo al
proprietario di non fargli mettere i piedi a terra per alcuni mesi, per
nessuna ragione. Così, con una motivazione forte, vinse le sue due
guerre». (4, fine)
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Cresce la diffusione delle droghe, da Taranto a Maranello. Terza puntata

 
 
Inchiesta Cresce la diffusione delle droghe, da Taranto a Maranello. Terza puntata
Tra fatica e coca, operai alla catena
Il grande rimosso Le aziende oscillano tra
silenzio e repressione, sindacato in difficoltà. A rischio la sicurezza
sul lavoro: si svaluta il salario, si svaluta la vita
Loris Campetti

Ancora metalmeccanici, ancora droghe. «Hai
deciso di metterci in mezzo?», mi chiede con tono scherzoso ma anche
preoccupato un delegato della Fiom. La verità è che va reso onore al
coraggio di questa categoria, e al suo sindacato più rappresentativo:
non è facile mettere in piazza problemi come questi che costringono ad
aprire una discussione a tutto campo, sul rapporto con le nuove
generazioni di lavoratori e di esse con il lavoro, il conflitto, il
sindacato, sul ruolo stesso dei delegati sindacali, le Rsu. Non tutti
sono disposti ad aprire questo libro doloroso perché parla di
sofferenze dei giovani, nel lavoro come nella vita, una vita alla
giornata, senza investimenti sul futuro. Parla di solitudini operaie,
cioè di quella classe che liberando sé stessa avrebbe dovuto liberare
l’umanità. Raramente, invece, «la classe» è apparsa incatenata come
oggi, alla linea di montaggio innanzitutto. E poi a una nuova povertà,
con salari che continuano a perdere valore dentro un lavoro non più
riconosciuto socialmente. Prigioniera, infine, di una cultura dominante
televisiva, in cui all’emancipazione individuale e collettiva si
sostituisce l’emulazione dei comportamenti e consumi di chi «ce l’ha
fatta», magari del padrone. E il conflitto, che «naturalmente» dovrebbe
essere agito nei confronti di chi ti sfrutta, si scarica invece contro
i soggetti socialmente più deboli.

La cessione del quinto
Occuparsi
di droghe sul lavoro aiuta a scoprire meglio la materialità della
condizione operaia. Di chi si è già mangiato il 70% del Tfr per
l’acquisto della casa, di chi ha ceduto un quinto dello stipendio per
attivare un mutuo, magari per comprare l’automobile nuova o la tv al
plasma, commenta un vecchio operaio bergamasco. E via di quinto in
quinto finché dello stipendio non resta nulla, un pezzo alla volta è
finito in tasca ai moderni strozzini, finanziarie e banche che si fanno
pagare il 13% di interessi sui prestiti. Sempre che tu abbia un
contratto a tempo determinatato, se sei un precario non puoi concederti
neanche il lusso di farti succhiare lo stipendio. Eccola, la nuova
classe operaia in carne e ossa.
Concludendo i lavori della
conferenza nazionale d’organizzazione della Fiom a Cervia, il
segretario generale Gianni Rinaldini ha raccontato un paese inquietante
segnato dagli effetti di una globalizzazione selvaggia che spinge gli
operai a competere tra di loro. La crisi del lavoro, amplificata dalla
sua frantumazione, fa saltare un modello logorato di rappresentanza
sindacale e sociale. In questo contesto opera la spinta delle imprese
allo smanetellamento della contrattazione collettiva, per sostituirla
con rapporti ad personam con i singoli lavoratori. All’interno
dell’individualizzazione del rapporto con il lavoro e con il padrone,
si inserisce la massiccia e crescente diffusione delle sostanze
stupefacenti in fabbrica, nei cantieri edili e navali, nei servizi.
«Che altro deve accadere? Se il problema è di queste dimensioni – ha
detto Rinaldini in riferimento all’inchiesta del manifesto – dobbiamo
aprire una discussione tra noi e con i delegati». Anche questa è una
scelta coraggiosa, sapendo che la rottura del silenzio scatena reazioni
pericolose da parte delle aziende, che o non sanno quel che succede
nelle loro fabbriche, o più verosimilmente fingono di ignorarlo. Quando
la verità s’impone, il passaggio dalla rimozione alla repressione viene
spontaneo ai dirigenti d’azienda, un fatto di dna. Ed ecco allora che
dai delegati si pretenderebbe la delazione, quando non si passa
direttamente alla violazione della legislazione che tutela la privacy
dei lavoratori: alcune piccole aziende hanno tentato di imporre ai
dipendenti o agli aspiranti tali le analisi delle urine per verificare
l’eventuale consumo di sostanze. Si può capire il comunicato dei
delegati Fiom della Sevel Val di Sangro che, pur aggrappandosi a una
lettura un po’ riduttiva della diffusione di cocaina nel loro
stabilimento, ne ammettono l’esistenza e anzi denunciano le loro
ripetute quanto inascoltate richieste alla direzione aziendale di
affrontare il problema «con serietà e trasparenza, senza
criminalizzazione di chi vive questa condizione».
Un aspetto
preoccupante, segnalato da un’inchiesta commissionata dalla Regione
Basilicata di cui ha riferito il manifesto di venerdì scorso, è legato
al rischio che il consumo di droghe possa provocare un abbassamento dei
livelli di sicurezza e, di conseguenza, un aumento degli infortuni sul
lavoro. Me ne parla un operaio di un’acciaieria (ci si consenta la
genericità del riferimento, ampiamente giustificata dalla delicatezza
della questione e dal rischio che corre chi prova a metterci le mani):
qualche settimana fa si è verificato un grave infortunio, per fortuna
non mortale, a una macchina. Nelle tasche dell’operaio ferito sono
state trovate alcune bustine di cocaina. In un’altra fabbrica di peso,
un delegato ha chiesto un incontro con il responsabile del personale
per denunciare la diffusione della cocaina, mosso dalla preoccupazione
che ad essa sia connesso un possibile aumento degli infortuni.
«L’azienda ha finto di cadere dalle nuvole. I casi sono due: o non
controllano la fabbrica, e sarebbe gravissimo, oppure fanno i finti
tonti per evitare ricadute sull’immagine».
Il consumo di droghe
(cocaina in particolare) cresce con l’abbassamento dell’età media dei
lavoratori e con lo spezzettamento del ciclo produttivo, accompagnato
dalla terziarizzazione di pezzi di produzione e servizi e dal lavoro in
affitto, che fanno convivere nello stesso posto di lavoro imprese e
forme contrattuali assai diverse. Per i delegati è sempre più difficile
controllare o addirittura conoscere l’insieme, il che rende più fragile
lo stesso intervento sindacale. Se i giovani in molte realtà assumono
coca, il fenomeno dell’alcolismo è legato tradizionalmente ai
lavoratori ultraquarantenni. Dal Veneto all’Emilia quest’ultimo
fenomeno è particolarmente diffuso, come confermano alcuni delegati
della Bassa reggiana. In Emilia mi raccontano di operai allontanati per
ubriachezza: è il caso della ex Landini a Fabbrico, nel Reggiano, dove
il consumo di cocaina è limitato ad alcuni casi concentrati nel turno
di notte: «Canne a go-go, ma roba pesante poca». Il fenomeno è comunque
abbastanza contenuto e sotto controllo, grazie anche a una rete
efficiente di servizi nel territorio, figli del modello sociale
emiliano. Qui, come in altri stabilimenti della regione, sono
moltissimi i giovani assunti dal Mezzogiorno d’Italia e sbattuti in
un’area geografica dove la vita è carissima e una casa in affitto costa
poco meno dell’intero stipendio. Campare con mille euro al mese o poco
più non è facile, non consente di costruirsi un futuro e la vita si
brucia sulla linea di montaggio giorno per giorno. Alla ex Landini
lavorano anche 70-80 indiani. Non bastano i menù differenziati per
costruire una buona convivenza, tra italiani e immigrati
extracomunitari, tra emiliani e meridionali, tra giovani e anziani.
Persino nel consumo delle sostanze i comportamenti sono differenziati.
In
una grande acciaieria come l’Ilva di Taranto – tra diretti e indiretti
oltre 17 mila lavoratori, le dimensioni di una cittadina di provincia –
si può trovare di tutto, mi raccontano, «è una specie di supermercato
in cui puoi comprare anche cocaina. Sta diventando un problema in uno
stabilimento in cui è pericoloso anche camminare, figuriamoci lavorare
all’altoforno. Devi essere lucido, attento, sennò rischi di farti male
e fare del male ai tuoi compagni. Pensa all’attenzione a cui è chiamato
chi lavora sul carroponte e sposta una siviera contenente 300
tonnellate di metallo liquido». Chi racconta queste cose è preoccupato
per gli effetti delle droghe consumate sul lavoro, e lo è anche per il
rischio che aprire questo capitolo possa fornire «un alibi ai padroni,
pronti a ripetere la solita canzoncina: gli infortuni? Colpa della
distrazione degli operai. E’ un imbroglio, perché le responsabilità dei
morti e dei feriti sul lavoro sono degli imprenditori, dei ritmi
insopportabili, della non applicazione della normativa sulla sicurezza,
dell’organizzazione del lavoro». Detto questo, aggiunge un secondo
operaio, «non dobbiamo nascondere le nostre di responsabilità». Ma la
riduzione del potere di controllo delle Rsu, sottoposte all’attacco e
all’emarginalizzazione da parte degli imprenditori, la fatica che fanno
i Rappresentanti sindacali per la sicurezza ad assolvere al loro ruolo,
troppo spesso osteggiato dalla controparte, sono ostacoli alla
costruzione di un modo di lavorare meno pericoloso. E’ la solita
storia, «per i padroni contano solo la produzione e il profitto».

Li riconosci dal cambio d’umore
Dai
fumi e dal fuoco dell’altoforno passiamo alla griffe più prestigiosa
del made in Italy, la Ferrari di Maranello. L’uso di sostanze, che una
volta era connesso al mondo dorato della Formula 1, qui in fabbrica «si
intuisce, anche senza vedere il tuo compagno che si fa un acido o
chissà quali pastiglie, la cocaina c’è ma è meno diffusa, almeno al
montaggio. Se sali di grado la musica cambia. L’hashish è diffuso tra i
giovani, ma si fuma soprattutto nelle pause. Chi assume sostanze si
riconosce per quel particolare stato di euforia che lo prende: ti
accorgi che dopo una pausa il tuo compagno di lavoro ha cambiato stato
d’animo». 2.800 dipendenti, la maggioranza impegnati nello stabilimento
di Maranello e una piccola parte alla Scaglietti di Modena dove si
saldano le scocche. Alla Ferrari si costruiscono anche i motori e si
verniciano le scocche per la Maserati. «Il settore Corse, qualche
centinaia di dipendenti, fa storia a sé. Ma nella produzione di serie
il lavoro e la sua intensità, Maranello non è poi così diverso da
Mirafiori. Così come il salario base che si aggira intorno ai 1.100
euro, a cui vanno aggiunti il premio di risultato (un buon contratto
integrativo) e l’eventuale lavoro notturno o straordinario. In alcune
aree come il montaggio dove si lavora su tre turni, l’80% dei
dipendenti viene da sud. Questi ragazzi vengono su carichi di
entusiasmo, prima di accorgersi che la fatica è tanta, i soldi pochi e
la vita come gli affitti è carissima. Rapidamente arriva la
disillusione, la frustrazione. Negli ultimi anni l’uso di sostanze è
aumentato in diverse aree della produzione, soprattutto tra le ditte
terze e durante il turno di notte. Il mercato per le rosse va alla
grande, cresce la produzione e nell’arco di un paio d’anni la Ferrari
prevede di estendere i tre turni su tutto lo stabilimento. Intanto
aumenta la richiesta di lavoro straordinario. Mentre uno della mia
generazione si è battuto e si batte per le otto ore, vedi dei ragazzi
che fanno la fila per ottenere qualche ora di straordinario, al punto
che i capi si permettono di discriminare, a te sì e a te no, dipende
dalla dedizione; e così fanno vivere le ore di lavoro in più come una
concessione benevola e non come un carico aggiuntivo di sfruttamento»,
dice sconsolato un operaio anziano che aggiunge: «Vedo ragazzi
intimiditi a cui viene annullata la personalità, per loro il lavoro
significa soltanto reddito. Allora capisci anche perché fanno gli
straordinari o chiedono di lavorare di notte, per guadagnare e spendere
di più. E si diffonde la droga con tutto quel che comporta, spaccio
compreso».
La politica delle assunzioni massicce dal Mezzogiorno ha
la conseguenza inevitabile di ridurre progressivamente il tasso di
sindacalizzazione. E può anche succedere che la Fiom, l’organizzazione
ampiamente maggioritaria in Ferrari, venga sconfitta a un referendum
sulla turistica: «Vince chi punta tutto sui soldi, alla faccia della
condizione lavorativa». (3/continua)

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Como street parade 24 maggio 2008

24MAGGIO2008
Dalle ore 14
Parcheggio Ippocastano-stazione fnm Como Borghi

A
Como come a Varese, Lecco, Milano e in tutta Italia si sta gradualmente
perdendo il contatto con la propria città, coi suoi limiti, le sue
mancanze.
Lo si fa rinchiudendosi nella propria sfera personale,
illudendosi di poter trovare rifugio e ispirazione nella TV e nella
propria solitudine, oppure trasferendosi all’estero in cerca di nuovi
stimoli.
A fronte di questo disagio ci sono invece giovani, comaschi
e non, che invece di scappare o adattarsi cercano ogni giorno di
organizzarsi ed esprimersi per arricchire e valorizzare la propria
offerta culturale e quella della città in cui “sopravvivono”.
Ragazze
e ragazzi che si troveranno in strada il 24 maggio, tutti insieme con
le loro differenze, ma che giorno per giorno sul territorio si
organizzano in modo indipendente e autonomo, senza sponsor ne profitto,
per esprimere il proprio talento.

DJs, Sound System, Giocolieri,
Teatranti, Artisti, Ragazze e Ragazzi si uniranno per dare vita alla
prima StreetParade cittadina.
Si presenteranno uniti dall’esigenza di emergere e, perchè no, esondare.
Si uniranno per inondare la città di buona musica, balli sfrenati, arte, cultura, divertimento.
Come
un’onda supereranno i muri materiali e mentali della cittadinanza e
delle istituzioni, troppo prese dalle proprie faccende, tutti sordi
davanti a tanta creatività; cureranno questa sordità, entreranno nelle
case, da porte e finestre, cavalcando suoni e rumori.

Dimostreranno
ai cittadini che sotto la superficie delle grandi mostre d’arte
ufficiali, della musica tutta uguale, delle discoteche e dello svago
predeterminato esistono profonde alternative culturali, fatte di tante
piccole differenze e tante grandi correnti di pensiero, tutte unite da
questa irrefrenabile voglia di emergere.

Questa energia, queste
idee, questi progetti, questi sogni che ormai dentro di noi stanno
stretti e non trovano Spazio nella città, strariperanno dalle nostre
menti e si riverseranno in strada: l’unico posto ancora accessibile
dove potersi esprimere liberamente.

Per questo siete tutti
invitati a partecipare concretamente alla piena riuscita dell’evento,
portando direttamente in strada quello che vi caratterizza, quello che
avete da dire e per il quale non trovate Spazio, Mentale e Fisico.
La
mancanza di spazi mentali è in stretta interdipendenza con la mancanza
di luoghi fisici. Le nostre idee, per potersi formare, sviluppare e
concretizzare, hanno bisogno di Spazio.

DESIDERARE nuove tipologie di spazi pubblici, dove il confronto nel rispetto reciproco sia la base della convivenza.

EMERGERE
dall’omologazione, dall’appiattimento, dal soffocamento. Trovare
respiro nelle proprie passioni e nelle proprie attitudini, nelle
proprie idee e nei propri sogni è necessario per dare forza ai propri
desideri

CREARE questi spazi, ottenerli, riempirli di attività diverse, nuove, stimolanti e critiche fa parte di questo desiderio

UNIRE
gli utenti di questi spazi, cercarvi un confronto, una crescita
collettiva. Unire le esigenze dei singoli per trovare soluzioni comuni
e condivise fa parte di questo desiderio

RISPETTARE se stessi e gli altri è un dovere morale necessario per raggiungere la felicità collettiva

BALLARE
tutti insieme in questo ed altri eventi per sprigionare le nostre
energie positive e per sfogare la noia e il risentimento verso quella
che ancora ci ostiniamo a chiamare società è la soluzione immediata al
nostro disagio; ballare dà forza a questo desiderio

ASCOLTARE
per avverare questo desiderio. Ascoltare le musiche diverse, imparare a
riconoscerle, conoscerle, apprezzarle e rispettarle deve servirci per
capire che la musica, come la vita reale, è piena di sfumature,
differenze, peculiarità e particolarità che in modo complementare
costituiscono la società.

PERCHE’ COMO NON E’ DEL SINDACO E DELLA SUA AMMINISTRAZIONE MA DI TUTTI I SUOI CITTADINI, COMPRESI NOI!!

NON CI SERVONO REPRESSIONI MA SPAZI DI AGGREGAZIONE!

QUINDI
VIENI ANCHE TU, PARTECIPA ALLA CONDIVISIONE ED AL RISPETTO NEL CONFRONTO, PORTA LE TUE IDEE E DAI VITA A NUOVE PROPOSTE!

 

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Droghe in fabbrica (II puntata)

inchiesta Sata di Melfi, dal «prato verde» alla tossicodipendenza
Un po’ di coca e il turno se ne vola via
Nello stabilimento gioiello della Fiat si
«tira» per reggere i ritmi del Tmc2. Ma la cocaina detta anche tutti i
tempi della vita e permette un commercio che per molti consumatori si
trasforma in un bel business
Loris Campetti
Melfi (Potenza)

All’inizio era il «prato verde», messi di
grano a perdita d’occhio nella straordinaria piana di San Nicola. Il
grano ha lasciato il posto allo stabilimento Fiat-Sata di Melfi e la
collina che si arrampica verso il paese è ferita da una strada
costruita tutta in sopraelevata. Quando venne inaugurata la fabbrica,
nel ’94, speranze di emancipazione e retorica postdemocristiana si
mescolarono in una narrazione inedita in questa terra lucana: arriva il
capitalismo serio, si può uscire da una povertà contadina dominata per
decenni dal paternalismo di Emilio Colombo. Arriva l’industria, arriva
il progresso. Il vecchio applaudiva al passaggio dei nuovi padrini:
«Romito, salutateci Agnello», aveva scritto su un cartello ripreso da
cento telecamere e alla Fiat veniva concesso tutto, dalla deroga al
divieto del lavoro notturno per le donne a una rivisitata forma di
gabbie salariali che condannavano i futuri operai a guadagnare meno dei
loro compagni di Mirafiori e a lavorare di più.
«Prato verde»
chiamarono lo stabilimento di San Nicola. Perché nasceva dal nulla (il
grano, si sa, è nulla) e nell’assenza di memoria dell’industria e del
conflitto. Ci sono voluti 10 anni esatti perché gli operai di Melfi
esplodessero decretando la fine della pace sociale, per 21 giorni
bloccarono i cancelli, ressero alle cariche della polizia e ruppero un
isolamento che inutilmente, in tanti nella politica, nei media e
persino nei sindacati avevano cercato di costruire intorno ai nuovi
briganti in tuta blu. Vinsero, con il sostegno quasi solitario della
Fiom, diventarono maggiorenni conquistando diritti che altri, in altre
stagioni, avevano conquistato e che ora, tutti insieme, rischiano di
perdere di nuovo.
Quasi 15 anni dopo la nascita, Melfi è uno degli
stabilimenti di punta della Fiat. 5.300 dipendenti diretti, 10 mila con
l’indotto. Gli operai arrivano a San Nicola ogni mattina, pomeriggio e
notte da tutti i paesi della Basilicata, dal nord della Puglia e in
parte dalla Campania. Ore e ore di pullman o di macchina, centinaia di
incidenti stradali con tanti morti e feriti accumulati in 15 anni di
pendolariato. Anche qui, come alla Sevel in Val di Sangro, lavora una
classe operaia molto giovane che spesso non riesce a reggere i ritmi
ossessivi della fabbrica modello, come testimonia un turnover molto
alto. Anche qui, come alla Sevel, impazza la cocaina. Mentre ci
lasciamo alle spalle la piana e il paese viaggiando verso Potenza, un
delegato Fiom senza nome ci racconta la «normalita» del consumo e dello
spaccio lungo le linee di montaggio – pardon, le Ute, un acronimo che
sta per Unità produttive elementari che viaggiano sui ritmi della
famigerata metrica Tmc2, responsabile di strappi, ernie, tunnel
carpali, tendiniti. «La cocaina circola in fabbrica dall’inizio, ma
solo da pochi anni ha assunto dimensioni di massa. Un carrellista che
lavora nella mia Ute vende una quantità di dosi incredibili agli altri
operai, ai capi, ai vigilanti che tirano da matti, alle donne. Lo
spaccio è quotidiano come il consumo, ma il venerdì e prima delle
vacanze il volume degli affari va alle stelle perché vengono acquistate
le dosi per il sabato sera in discoteca, o per le ferie. Il mio amico
carrellista prima di Natale ha tirato su 15 mila euro, in poco tempo si
è fatto casa». Ci si droga anche dentro la fabbrica? «Gli operai –
risponde – si fanno durante le pause, li riconosci perché riprendono il
lavoro eccitati, tirano su col naso, è una specie di tic, e per una
mezz’ora producono come pazzi, poi si danno una calmata. All’inizio
sono solo consumatori saltuari, ma quando prendono il vizio si
trasformano in piccoli spacciatori per pagarsi la dose. Le canne se le
fanno direttamente sulla Ute: sentissi che profumo…».
Droga di sostegno
I
prezzi della cocaina si aggirano tra i 70 e i 100 euro a grammo, i
soliti 20-25 euro a quartino. Arriva soprattutto da Foggia portata dai
soliti camionisti che riforniscono la fabbrica di pezzi, componenti e
sogni di gloria, o di fuga che dir si voglia. «C’è anche qualcuno che
si buca – continua il racconto del nostro amico delegato – e spesso
viene aiutato dall’azienda a recarsi qualche periodo in comunità per
tentare di disintossicarsi». Perché si drogano? «Anni di lavoro in
questa fabbrica ti spompano. Il ritmo è stressante, i viaggi quotidiani
per raggiungere o lasciare il lavoro fanno il resto e la vita nei paesi
è banale, noiosa. C’è chi si fa per reggere lo stress, ma spesso le
motivazioni sono altre: per stare bene con gli amici, per stare bene
con la moglie o il marito. Molti si portano la coca a casa e fanno
sniffare anche la moglie per scopare meglio». Vuol dire che con gli
amici si sta male senza farsi? E che non si riesce a divertirsi in
discoteca o a letto senza l’uso di cocaina? Il delegato scuote le
spalle, e va avanti nel suo racconto. Insiste sul legame con il sesso:
«Quando tirano, anche in fabbrica, non li ferma più nessuno. Qui si
dice «inculare la formica» quando sei preso dal raptus e ti senti
Rambo, e succede che il tuo compagno di lavoro, un po’ per gioco e un
po’ no, venga a toccarti il culo, non avendo una donna a portata di
mano». Tra i consumatori ci sono anche iscritti al sindacato? «Ce ne
sono, ce ne sono. Anche delegati. Uno dell’Ugl è stato anche bastonato
perché era in ritardo con il pagamento allo spacciatore. I delegati
Fiom? Qualche spinello, quello tutti. Sì, qualcuno usa anche la
cocaina. La maggior parte dei consumatori – cambia discorso – è sposato
e ha figli». Qual è la percentuale dei cocainomani? «C’è chi dice il
40%, chi corregge la cifra al rialzo: uno su due».
Stress, noia,
sesso, voglia di essere diverso anche se poi finisce che sei
esattamente uguale a tutti gli altri tuoi coetanei. «Di notte c’è meno
controllo ma si sniffa in tutti i turni. In questa fabbrica si può
comprare fumo, coca, eroina ma anche perizoma, canottiere,
elettrodomestici. Tutti sanno nessuno parla. Per paura, per
convenienza, per quieto vivere». In realtà c’è chi parla: i blitz
dell’antidroga fuori dai cancelli, sui piazzali dello stabilimento,
finiscono spesso con arresti, dunque le spiate non mancano. Chi viene
pizzicato con le mani nella farina viene spinto dall’azienda a
dimettersi, oppure viene degradato e spostato in altre unità, «è
successo recentemente a un quarto livello del montaggio». Dalla lotta
vittoriosa dei 21 giorni, Michele è assessore di Rifondazione alle
politiche sociali della provincia di Potenza, in distacco dalla Fiat di
Melfi dove fa l’operaio: «Ho assistito personalmente – ci racconta –
all’arresto di due operai sul pullman che ci riportava al paese dopo il
turno di notte: sono saliti in tre, uno in borghese dalla porta davanti
e due in divisa da quella posteriore per bloccare le uscite e sono
andati a colpo sicuro mettendo le manette a due operai, direttamente
sul pullman. Per fortuna quella volta non avevano roba con sé e sono
stati rilasciati». In qualche caso, però, scatta il licenziamento ma
sempre con motivazioni diverse: «Due ragazzi – ci racconta l’avvocato
Lina Grosso che segue le cause di lavoro per la Fiom – sono stati
licenziati per assenza ingiustificata, ma è noto che si trattava di due
tossicodipendenti. Noi avviamo la procedura ma in questi casi la Fiat
punta sempre a monetizzare, offrendo soldi a chi di soldi ha bisogno
come il pane, pur di non arrivare a sentenza. Per noi è difficile
convincere questi ragazzi a non accettare l’offerta, anche perché non
abbiamo alcuna certezza di vincere la causa». E questo è uno dei tanti
problemi a Melfi, dove le procedure d’urgenza (il 700 contro i
licenziamenti) durano mesi e mesi e le sentenze, quando ci si arriva,
rarissimamente sono a favore del sindacato. «C’è invece il caso di un
altro operaio, dipendente da alcol, che l’azienda metteva regolarmente
in postazioni per lui insostenibili. Una volta chiese di poter uscire
per andare in ospedale perché stava male. Lo bloccarono più volte
finché non riuscì a scappare determinando momenti di forte tensione.
Fuggì in automobile dopo una colluttazione con due capi in stato
confusionale ed ebbe un incidente d’auto. L’azienda l’ha licenziato e
noi abbiamo fatto causa. Abbiamo perso in primo grado e siamo andati in
appello, anche perché una perizia medica ha stabilito che non era in
grado di intendere e di volere per cui non è stato condannato in sede
penale. Dopo una seconda perizia che ha confermato la prima, la Fiat ha
proposto la transazione, cioè la monetizzazione per non arrivare a
sentenza. Il nostro assistito non ha accettato e ora aspettiamo il
verdetto del giudice». Finalmente, all’inizio della settimana è
avvenuta una cosa che ha ridato qualche speranza all’ufficio legale
della Fiom: il giudice di melfi ha accolto il ricorso contro il
licenziamento di un operaio Sata, Michele Passannante, «senza giusta
causa», dopo l’apertura di un’inchiesta giudiziaria in cui è indagato
per una presunta appartenenza all’area del terrorismo. Ora la Fiat
dovrà riaprirgli le porte della fabbrica e pagargli gli stipendi
arretrati.
Un’emergenza che dilaga
La Regione Basilicata si
occupa della Fiat di Melfi dal giorno della sua apertura, e lo fa
manifestando talvolta un certo grado di autonomia rispetto allo
strapotere esercitato nel territorio dalla multinazionale torinese. Ha
attivato incheste («magari la Procura fosse altrettanto attiva», ci
dicono gli avvocati che difendono gli operai) sul mutamento della vita
nei paesi in cui vivono i dipendenti Sata e dell’indotto, sugli
infortuni stradali stradali legati al pendolarismo, sul mobbing. La
Regione si è occupata anche di tossicodipenza in fabbrica. In
particolare c’è un’inchiesta curata dall’equipe della Cooperativa
Marcella sulla percezione delle droghe da parte dei lavoratori
dell’area industriale di Melfi: «Tutti sono concordi nell’affermare che
l’uso delle sostanze è gravemente nocivo per la salute», pur ritenendo
che alcune, come le droghe leggere, possano aumentare la capacità
lavorativa e insieme a quelle sintetiche migliorino la resistenza alla
fatica, a differenza di alcol e psicofarmaci. In molti pensano che
l’uso di droghe pesanti e sintetiche facciano correre rischi
all’interessato e ai compagni di lavoro. Sono al corrente del consumo
crescente di droghe in fabbrica, o per conoscenza diretta, o per lo
spaccio evidente, le siringhe abbandonate, i furti, l’eccesso di
assenze per malattia, qualche episodio di violenza. Solo il 21% degli
intervistati esclude che nella sua azienda si consumino sostanze
stupefacenti. Un dato allarmante su cui riflettere è segnalato da un
intervistato su due: chi si fa si infortuna di più. Il 50% sostiene che
chi si droga è «una persona normale».
L’altro dato che non deve
sorprendere è che il consumatore «non si ritiene tossicodipendente»
(44,9%). Per il 77,3% del campione, infine, «le imprese dovrebbero
avere un programma di lotta contro la droga».
Qualche mese fa, nel
terzo stabilimento meridionale della Fiat per importanza, quello di
Cassino, fu realizzato un video con un operaio intervistato di spalle
che raccontava il consumo di droga durante il turno di notte. Diceva
molte verità, e proponeva qualche certezza di troppo e troppo
politicamente corrette: ci si fa di cocaina solo per resistere a un
lavoro altrimenti insopportabile. E’ così, ma non è solo così. Ne
parleremo nelle prossime puntate. Finora abbiamo indagato solo grandi
fabbriche metalmeccaniche, anzi Fiat, perché è più facile stabilirvi
relazioni e perché il tasso di vent’enni è altissimo. Non si creda però
che si tratti di un fenomeno circoscritto a queste realtà. In tutti i
settori dell’industria e dei servizi il consumo della cocaina è
drammaticamente alto e crescente. Lo è nei lavori faticosi, come
nell’edilizia, nei lavori ripetitivi, in quelli che prevedono il
rapporto con il pubblico. Lo è soprattutto tra i giovani e i precari.
C’è chi pensa che ci sia un rapporto tra la diffusione delle droghe e
la riduzione dei conflitti sul lavoro. Ipotesi, naturalmente, tutte da
verificare.
(2/continua)
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Quanto tira la classe operaia (da Il Manifesto)

Inchiesta
Quanto tira la classe operaia
La cocaina va a ruba nelle fabbriche tra i più giovani. Prima puntata
Alla
Sevel in Val di Sangro un operaio su due consuma sostanze stupefacenti.
Lo stesso avviene dove l’età media è molto bassa. Si sniffa per reggere
«un lavoro e una vita di merda», perché così fan tutti, perché la
fabbrica non è più una comunità. Lo spaccio, i furti, i blitz. La
polvere bianca cambia il rapporto con il lavoro e il sindacato Al
montaggio ci sono stati casi di ragazze che si prostituivano per
pagarsi la dose. Adesso meno e solo quando finisce lo stipendio
Loris Campetti
Atessa (Chieti)

 «Il proletariato non è soltanto una classe
che soffre… La vergognosa situazione economica nella quale si trova
lo spinge irresistibilmente in avanti e lo incita a lottare per la sua
emancipazione definitiva». Così scriveva nel 1840 Friedrich Engels
nella sua magistrale «Indagine sulla condizione della classe operaia in
Inghilterra». E’ un’idea semplice quanto straordinaria quella di Engels
e Marx, che ha mosso centinaia di milioni di uomini e donne in tutto il
pianeta nel corso dei due secoli alle nostre spalle. Un’idea che ha
cambiato il mondo, emancipando grandi masse da una condizione di
miseria e subalternità attraverso la lotta di classe, il «motore della
storia».
A che punto è la storia, 170 anni dopo l’indagine di
Engels? Questa domanda ci è sorta spontanea al termine della nostra
inchiesta sul consumo e la diffusione delle droghe nelle fabbriche
italiane, e siamo andati a risfogliare i testi classici, memori delle
operaie tessili di Manchester poco più che bambine, costrette ad
avvelenarsi con «cherry, porto e caffè» per reggere un ritmo di lavoro
disumano per 15-16 ore al giorno. Nel 2008 ci sono realtà industriali
importanti in cui addirittura il 50% dei lavoratori si fa di cocaina e,
in misura minore, di eroina e di ogni sostanza capace di rendere più
tollerabile una «vita di merda», o meglio, di far sognare
un’improbabile fuga da essa. Di merda è il lavoro così come la
normalità delle relazioni in paesi privi di vita sociale, che concedono
ben poco alle speranze di futuro e di cambiamento, ci raccontano le
tute blu. Ci si fa per lavorare, per sballare, per fare l’amore. Ci si
fa alla catena di montaggio, in discoteca con gli amici, a letto con la
moglie per migliorare le prestazioni sessuali; poi arriva la dipendenza
e con essa lo spaccio per pagarsi la dose. Operai e operaie, capi e
sorveglianti, adescati in fabbrica da altri operai: una «pista» nei
cessi della fabbrica tanto per provare, l’esaltazione e il cuore che
batte a mille, l’adrenalina che all’inizio fa persino aumentare la
produzione, infine la consuetudine. Si lavora di notte per guadagnare
trecento euro in più, 1.400 invece di 1.100 euro buoni per affrontare
l’astinenza e la crisi della quarta settimana. La notte ci sono meno
controlli, «tu fai i picchi di produzione e i capi non ti rompono il
cazzo». Qualche ragazza può persino arrivare a prostituirsi per pagarsi
la dose, per fortuna casi sporadici.
Dall’officina al muretto
Dalla
fabbrica la droga arriva nei paesi di provenienza dei lavoratori in una
spirale perversa di cui, oltre alle forze dell’ordine, si occupano in
pochi: operatori sociali, Ser.T, qualche livello istituzionale. Le
aziende nascondono finché possono il fenomeno per salvare la faccia;
quando un caso esplode, magari dopo l’ennesimo blitz dei carabinieri,
scelgono la repressione attraverso il licenziamento o le «dimissioni
spontanee», a volte aiutano il recupero dei tossicodipendenti. I
sindacati, anch’essi, rimuovono, cosa che non riescono più a fare i
delegati il cui impegno rischia di cambiare natura, assorbito dal
lavoro di aiuto ai ragazzi finiti nella spirale. Ragazzi – anche
iscritti al sindacato, persino delegati – che non vivono, se non molto
parzialmente, il lavoro come emancipazione, come veicolo per costruirsi
un futuro, ma come pura fonte di introito per continuare a sniffare
coca o a iniettarsi eroina, oppure a fumarla «come fa un gruppo di
ragazze del mio turno», dice Arturo che da anni prova a disintossicarsi
e ci ricade ogni volta, nonostante il suo appuntamento quotidiano al
Ser.T di Pescara. Lui dal sindacato (è iscritto alla Fiom) si aspetta
«solo un aiuto per difendermi dai capi che mi ricattano, mi
perseguitano, mi danno giorni e giorni di sospensione per poi tenerli
nel cassetto e tirarli fuori ogni volta che provo ad alzare la testa».
Arturo alterna lavoro in fabbrica, assenze per malattia e molto d’altro
per tirare avanti. Ha abbandonato l’università in seguito a un grande
trauma, il terremoto al suo paese, San Giuliano di Puglia, e ha
cominciato a farsi.
Abbiamo iniziato il nostro viaggio alla Sevel di
Atessa, Val di Sangro, Abruzzo. Assegneremo nomi di fantasia a molti
interlucutori, ragazzi e ragazze che usano sostanze stupefacenti,
delegati sindacali che chiedono l’anonimato, operatori delle forze
dell’ordine impegnati nell’antidroga. La Sevel è la principale fabbrica
italiana della Fiat per numero di addetti dopo Mirafiori. Vi si
costruiscono i furgoni Ducato per la multinazionale torinese e per la
francese Psa (Peugeot e Cytroen), un prodotto che non sta risentendo
della crisi internazionale dell’automobile. Dalla nascita, nel 1980, la
Sevel ha progressivamente aumentato la sua capacità produttiva e oggi
dà lavoro a 6.500 persone sui tre turni, mattino, pomeriggio, notte, a
cui si aggiungono quasi duemila operai di ditte esterne che operano nel
perimetro dello stabilimento e migliaia di addetti dell’indotto. Solo
in Val di Sangro sono 10 mila le famiglie che vivono di Sevel, tra i 10
e i 15 milioni di euro al mese che rappresentano la principale fonte di
reddito della valle. Inutile dire che al peso economico dell’azienda si
aggiunge quello politico. Una situazione per molti aspetti analoga a
quella determinatasi in Basilicata con l’arrivo della Fiat-Sata.
L’azienda procede con assunzioni massicce – ci racconta la nostra
guida, il delegato Fiom Antonio Di Tonno – grandi infornate di ragazzi
e ragazze diciottenni selezionati alla bell’e meglio. Il bacino
primario ormai non è più sufficiente a soddisfare la domanda Fiat e
sono sempre più numerose le assunzioni effettuate in tutto il Chietino,
il Pescarese, il Molise, la Puglia, la Campania. Età media bassissima,
alto turnover perché qui «si fatica sodo»: «I giovani vivono in modo
estraniante il rapporto con la fabbrica e il sindacato, per non parlare
della politica. Pensano al pallone, alla pizza, alla discoteca. E alla
cocaina. C’è chi fa di tutto per non farsi confermare al termine del
periodo di prova, così da poter dire ai genitori: "io ho provato, non è
colpa mia se non mi hanno preso". Vuoi per questo atteggiamento, vuoi
per una diffusione della droga fuori controllo, adesso la Sevel sta
assumendo persone un po’ più grandi, tra i 25 e i 28 anni». Tanto i
delegati quanto un ufficiale dell’antidroga che in fabbrica è di casa,
con blitz notturni alla ricerca quasi sempre fruttuosa di sostanze,
valutano che un dipendente su due sia coinvolto con maggiore o minore
frequenza e dipendenza nel giro della cocaina. Fino a poco tempo fa,
dosi massicce di droga venivano trovate negli armadietti degli operai.
Ci raccontano di sequestri di molte dosi di coca, di eroina e mattoni
fino a un chilo di peso di hashish. In tanti sono stati beccati, ora
tutti si sono fatti più accorti.
Il silenzio è d’oro
Non sempre i
rapporti delle forze dell’ordine con la sicurezza aziendale sono
idilliaci, così ai blitz interni allo stabilimento si aggiungono quelli
fuori, a colpo sicuro. Perché tossici e spacciatori sono ricattabili,
ed è da loro che arrivano le soffiate a Ps e Cc. E all’azienda, che
talvolta utilizza le spiate per poi compromettere gli spioni facendo a
sua volta spiate ai i loro compagni di lavoro. Ci sono stati arresti,
ma tutto resta sotto traccia, e la stampa, anche quella locale, tace.
La Procura si muove con i piedi di piombo, a volte neanche sostiene il
lavoro dei Pm che autorizzano l’utilizzo delle cimici nel tentativo di
arginare il fenomeno. «In fabbrica – dice Antonio – è saltato l’ordine.
E l’azienda, dopo aver lavorato con costanza a neutralizzare il
sindacato, ora lamenta la mancanza di un’interlocuzione con noi, nel
senso che non siamo più un interlocutore forte di una conoscenza
approfondita della fabbrica, degli operai, dei problemi».
Questi
giovani operai e operaie sono completamente diversi dalla classe
operaia che conosciamo e raccontiamo. I «vecchi» con vent’anni e più di
servizio in Sevel, sono furiosi con le nuove generazioni in tuta blu:
«Se le cercano, non vogliono fare un cazzo, ti contattano solo per
farsi spostare in postazioni migliori. Sono individualisti e non ci
rispettano, la droga li ha svuotati dentro. Invece del lavoro – dicono
– hanno in testa la cocaina». Su una cosa vecchi e giovani
sembrerebbero uniti: votano in maggioranza a destra, per Fini e
Berlusconi, o non votano, anche molti di quelli che avevano investito
sul governo Prodi e sono rimasti delusi. Anche qualche iscritto ai
sindacati, persino un po’ di delegati possono votare a destra: «Con la
tessera difendono il salario dal padrone, con il voto a destra lo
difendono dallo stato che ci massacra con le tasse». «La fabbrica è
diventato un supermercato, si vende di tutto: puoi acquistare un motore
Alfa, un paracarro, uno stereo, ogni tipo di droga proveniente
soprattutto da Napoli attraverso i camionisti che portano in fabbrica
componenti e materiale necessario alla produzione dei furgoni. La roba
finisce in mano agli spacciatori interni e, di mano in mano, raggiunge
tutti i reparti, poi esce dalla fabbrica e arriva nei paesi dove tutti
consumano droghe leggere e tanti, forse addirittura l’80%, si fanno di
coca, dai 14 ai 40 anni», racconta un addetto alla repressione esterna
e ci confermano i ragazzi con cui parliamo, nonché il segretario della
Fiom abruzzese, Marco Di Rocco: «Una piaga sociale».
Ma il processo
di trasformazione culturale riguarda innanzitutto la fabbrica: ci si fa
sulla linea di montaggio, si sniffa nelle pause vicino all’armadietto e
al cesso ci si buca. Qualche volta, ci dice un ufficiale, «sono stati
beccati dei ragazzi esaltati che facevano l’amore dentro i furgoni che
costruiscono». I furti negli armadietti non si contano, «riescono a
svuotarne così tanti perché operano in squadre organizzate», ci dice un
altro delegato. Ma spariscono anche i sifoni dei bagni, gli specchi.
«Tutto per quattro soldi, per un quartino». Il quartino è una dose da
un quarto di grammo di coca, con una ventina di euro te la porti a casa
o alla catena. Il suo prezzo, da Napoli ad Atessa, può anche triplicare.
Ricatti e minacce
Perché
lo fanno? «Perché sono uguali ai loro coetanei che studiano o
vivacchiano in paese. Qualcuno – ci dice chi si occupa di droga nel
territorio di Lanciano – all’inizio tira coca per reggere un lavoro
molto pesante, ma non è questa la motivazione prevalente. Lo fanno
soprattutto la notte perché la sorveglianza è minore. E se chi spaccia
è ricattabile, i sorveglianti interni non hanno strumenti per
intervenire e vengono minacciati». Giulietta e Romeo sono due operai in
trattamento da qualche anno al Ser.T. Eroinomani, ora vivono con la
loro dose quotidiana di metadone e giurano di esserne fuori. Giulietta
ha ereditato un’epatite C dal tempo in cui si bucava, è stata
trasferita dalla linea a un posto più umano solo dopo quattro
svenimenti. Ora lavora in verniciatura, che non è l’ideale per chi ha
il fegato compromesso. Il nostro delegato Fiom si impegna di fronte a
noi ad aiutarla a farsi trasferire in un posto compatibile con il suo
stato di salute. Questo fanno i delegati, spesso chiamati a «dare una
mano» con i capi, per ottenere turni o postazioni migliori: «Mi
arrivano in casa – dice Antonio – i genitori di ragazzi finiti nella
spirale. Chiedono aiuto». Molti sono giovani con contratti atipici. Si
subisce il turno di notte perché sei precario e ricattabile, o lo si
sceglie per guadagnare 300 euro in più, o perché «ci si può drogare
senza troppe rotture di coglioni». I «pipistrelli» spesso vivono la
notte come un «regalo», e lavorano a testa bassa per difenderlo.
Il
Ser.T di Lanciano ha 220 utenti, la metà sono operai Sevel. «Non ci si
fa per reggere la fatica. Molti arrivano in fabbrica già legati alla
coca o all’eroina. All’inizio può darti un po’ di carica, se la
controlli ti aiuta ma se ne fai un uso eccessivo non riesci più a
lavorare. Il fisico regge meglio l’eroina – sostiene Romeo – che dà
assuefazione solo psicologica. Con l’ero e poi passando al metadone
riesci a fare la tua vita. Con la coca è peggio, 30 euro al giorno per
la dose è tutto quello che cerchi. Si sente dire che al montaggio c’è
stato qualche caso di ragazze che si prostituivano per tirar su i
soldi». Questo è un tabù, anche chi è disposto a raccontarti tutto
finge di non sapere, di non aver capito la domanda. Si sa «ma non si
dice, sono solo voci che corrono». Corrono in fretta. Ripeti la domanda
e allora la risposta è obbligata: «Una volta succedeva, adesso meno e
solo a fine mese quando lo stipendio è finito». Rimozione o pudore?
Forse entrambe le cose. Giulietta dice di dover ringraziare un capo che
l’ha aiutata quando era ridotta molto male e pesava 38 chili: «Ero
arrivata a consumare anche 80 euro al giorno per l’eroina, e a quel
punto non ti resta che spacciare», se di prostituirti non vuoi sentir
parlare. Che cos’è il lavoro per questi ragazzi? Per Romeo «è la cosa
principale, mi dà un senso, un’identità» e invece per Giulietta «non è
possibile identificarsi con questo lavoro. Se potessi me ne andrei
domani. Ma non in un’altra fabbrica, tutto sommato la Sevel è il
miglior posto di lavoro in zona. Vorrei fare altro nella vita». E il
sindacato? «Ho un buon rapporto, è importante il sindacato. Però –
ammette Romeo – raramente partecipo agli scioperi». E Giulietta: «Io
non ho rapporti, i miei delegati sono pappa e ciccia col padrone. Solo
la Fiom si salva. Però agli scioperi aderisco, almeno a quelli di otto
ore così mi risparmio la fatica di andare in fabbrica». Perché vi fate?
«Prova tu a vivere in questi paesi, poi lo capisci e ti fai anche tu».
Non ha dubbi Giulietta. Ora riesce a vivere decentemente insieme al suo
compagno. «Ormai siamo fuori. Ma non dal metadone, quello te lo porti
dietro tutta la vita». Romeo non ha rinunciato all’idea di liberarsi
anche del metadone, «una volta ci ho provato, forse proverò ancora».
Sono due utenti modello, da cinque anni non si bucano e riescono a
farsi le vacanze fuori: prima però passano al Ser.T, si portano le dosi
quotidiane e poi via, alla ricerca di una vita normale. Con chiunque
parli ti senti ripetere che con la cocaina non c’è problema, «puoi
smettere quando vuoi». Fatto sta che non smettono. In pochi ammettono
di essere tossicodipendenti. Lo raccontano a noi o a se stessi?
La crisi della comunità
L’impressione
che si trae da questo primo giro è che la «diversità» operaia sia
finita, i giovani in tuta sono uguali a quelli senza perché la fabbrica
non è più una comunità, un luogo identitario, di aggregazione. Si
condivide una stessa condizione di lavoro ma è più facile mettersi
insieme per sniffare che per lottare contro il padrone. La fabbrica è
sempre più un luogo di transito per i giovani. E un luogo di consumo,
di spaccio. (1/continua)
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RESISTENZA ANTIPROIBIZIONISTA! CANAPISA STREETPARADE

 
Per l’ottavo anno il carnevale antipro si appresta a invadere il centro di Pisa
Vi aspettiamo il 31 maggio con meeting point in P.zza SanAntonio(zona stazione)
alle ore 17:00
 
 IN MOVIMENTO VERSO CANAPISA08
 << EVENTI MAGGIO >>
 

>>Giovedi 15 maggio

CIRCOLO TERRITORIALE DI MONTEMAGNO IN MOVIMENTO VERSO CANAPISA08

VIA B.BUOZZI N. 3 ANGOLO – VIA S.PIERO CALCI (PISA)

CENA BENEFIT..ORE 20.30

PROIEZIONI VIDEO ANTIPROIBIZIONISTE..ORE 22.00

———–

>>Giovedi 22 maggio

 Università di Pisa

presso Polo didattico Carmignani

(Piazza dei Cavalieri-davanti la Fascetti-dietro la Normale)

Conferenza

*ALLE RADICI DEL PROIBIZIONISMO*

Programma
Ore 17.30 Presentazione   dell’Osservatorio Antiproibizionista

Ore 18 DIBATTITO

Con Peter Cohen* (sociologo dell’Università di Amsterdam)

e Guido Blumir (sociologo dell’Università di Torino)
Conduce Nunzio Santalucia

A seguire aperitivo buffet e proiezioni video

*La cultura del bando della cannabis.

Da Fuoriluogo, di Peter Cohen – 27 aprile 2008

Versione integrale: http://www.fuoriluogo.it/home/archivio/arretrati/2008/aprile/la_cultura_del_bando_della_cannabis

 PER ADESIONI CONTATTATE                                  canapisa@inventati.org
per maggiori informazioni      www.osservatorioantipro.org
 

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