6 aprile: Festa della semina

al Forte Prenestino dal pranzo al tramonto:

 

Abbiamo deciso di festeggiare la semina quest’anno dedicando la giornata ai liberi coltivatori d’Italia.

Sono
sempre di più, infatti, coloro che volendosi tenere lontani da
proibizionismo e, soprattutto, dalle narcomafie decidono di
autocoltivarsi la propria pianta e di godere dei frutti della propria
fatica.

Ci chiamano "esercito di coltivatori", come  recitava
un allarmato servizio di "repubblica" di pochi mesi fa da cui si
evinceva che, specialmente al sud, è diffusissima la pratica della
produzione in proprio della marijuana.

Ovviamente
i dati sono quelli della polizia e hanno origine dalla stima della
sostanza sequestrata come una parte minima di quella effettivamente
circolante.

Si
pensa così che a fronte di qualche centinaio di coltivatori denunciati
siano, in realtà migliaia quelli in azione così come a fronte di più di
un milione di piante sequestrate solo nel 2007 siano in realtà almeno
un numero 5 volte superiore quelle non intercettate.

Si
stima che siano ormai circa 10 milioni i consumatori di cannabis in
Italia, tra questi il 25% dei giovani tra i 18 e 35 anni (uno su
quattro).

Appare
evidente come il proibizionismo stia fallendo. Come le leggi
iperpunizioniste come la Fini-Giovanardi siano un inutile accanimento
nei confronti dei consumatori, come l’unica volontà dello stato sia
quella di sorvegliare e punire: negli anni che vanno dal 1993 al 2006
più di 500000 persone, in gran parte giovanissimi, sono state segnalate
come consumatrici di sostanze stupefacenti.

Sappiamo
benissimo, ovviamente, che tra i coltivatori ve ne è una parte
importante che lo fa a scopo di lucro. Si calcola che in questo regime
proibizionistico una pianta arrivi a fruttare anche 1000 euro ed è
facilmente comprensibile che a qualcuno questa appaia come una delle
soluzioni più facili per fare soldi presto e senza far male a nessuno
(anche se vanno inclusi nel discorso mafiosi e bastardi senza scrupoli
che puntano a massimizzare la produzione gonfiando le piante di veleni
e concimi…già sentito, non vi pare?).

Comunque
non è certamente a questo genere di coltivatori che va la nostra
giornata, ma a figure come quella di Aldo Bianzino, falegname
quarantenne che viveva in Umbria e che arrestato per poche piante non
ha fatto più ritorno a casa, o ad Alberto e Giuseppe, giovani
coltivatori suicidatisi per la gogna penale e mediatica a cui sono
stati sottoposti per il possesso di pochi germogli di erba.

A loro
e a tutte le vittime di proibizionismo dedichiamo una giornata di
lotta, di condivisione, di scambio di informazioni e tecniche affinchè
i coltivatori possano affinarsi e moltiplicarsi.

Contro ogni proibizionismo.

Contro le narcomafie.

Giusto o sbagliato non può essere reato

Giusto o sbagliato…ormai ho seminato

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Ministero Salute: un giovane su quattro fuma spinelli

29-03-2008, ore 16:02:26
 
Italia. Ministero Salute: un giovane su quattro fuma spinelli
 

 
(Agi) I giovani sempre piu’ consumatori: un quarto degli adolescenti,
tra i 15 e i 19 anni, fa uso di cannabis, mentre un significativo 5% e’
ormai passato alla cocaina. Sono i dati pubblicati nella Relazione del
Ministero della Salute sullo Stato Sanitario del Paese relativa agli
anni 2005-2006. Come peraltro emerso anche a proposito del consumo di
alcool, le fasce d’eta’ piu’ giovani sono quelle piu’ a rischio per i
comportamenti trasgressivi e per le tossicodipendenze: sotto il profilo
dell’assistenza sono ancora i consumatori di eroina a costituire la
tipologia di consumatori di sostanze piu’ rappresentata (il 72,3% del
totale) tra i soggetti in carico ai SERT, per un’eta’ media complessiva
di 33 anni circa. Tuttavia, avverte il rapporto, non vanno
sottovalutati i trend che emergono a proposito dei consumi, che vedono
un aumento complessivo della quota di utilizzatori di tutte le sostanze
considerate nel periodo 2001-2005. E se nella fascia d’eta’ 15-19 anni
la tendenza all’aumento appare meno evidente, va comunque considerato
il fatto che le quote di consumatori risultano sensibilmente piu’ alte
tra i piu’ giovani: la cannabis, usata dal 13% circa dei 15-44enni nel
2005, raggiunge tra i 15-19enni il 24% circa, mentre l’uso di cocaina
rimane di poco al di sotto del 5% tra i piu’ giovani, contro il 3%
circa dei 15-44enni. E i giovani si confermano categoria fragile anche
per le malattie mentali: la classe di eta’ 25-44 e’ quella piu’
rappresentata sul totale dei ricoveri riconducibili a questo genere di
patologie (33,8%), e la mancanza di un informazione sistematica
sull’efficacia e la diffusione dei servizi per la salute mentale rende
ancora piu’ complessa la gestione di un fenomeno e di una serie di
patologie il cui peso rischia di ricadere interamente sulla famiglia.
Secondo lo studio PRISMA (Progetto Italiano Salute Mentale
Adolescenti), che ha indagato la prevalenza dei disturbi psichici tra i
preadolescenti, il 3,7% dei preadolescenti presenta comportamenti
significativamente a rischio per depressione, il 4,9% dei maschi ed il
2,5% delle femmine, mentre il 10,6% presenta comportamenti
significativi per disturbi della serie ansiosa, con una prevalenza piu’
che doppia nel sesso maschile (14,4% contro il 6,3% nelle femmine). 

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Appello Canapisa 2008

APPELLO
Il fallimento del proibizionismo è sotto gli occhi di
tutti.

L’assunzione di sostanze che modificano la coscienza è un fatto
che accomuna gli esseri umani di tutti tempi, luoghi e culture.
 Nel corso
del tempo, per alcune di queste sostanze ne è stato proibito l’uso, dando vita
a  tutta una serie conflitti ai quali i governi hanno risposto  con sempre
maggiore repressione. Nasce così il problema droga. Sono state promulgate leggi
e istituiti imponenti apparati repressivi,  per affrontare la questione a
livello globale, che hanno dichiarato la "guerra alla droga". Una persecuzione
infame, fatta di incursioni militari, uccisioni, perquisizioni, fermi, arresti,
blitz, lancio di diserbanti chimici su intere popolazioni,  che è bene
ricordare, ha fatto nascere un reato la dove non ci sono vittime, costringendo
alla clandestinità milioni di esseri umani.
Mai nessuna legge ha prodotto
nella storia del genere umano una quantità tale di sofferenze. Definibile come
la terza guerra mondiale, perché combattuta su fronti sparsi nell’intero
pianeta, questa strategia planetaria conta ormai miglia di vittime e continua ad
infliggere lacrime e sangue ad un numero sempre maggiore di esseri umani magari
solo per  aver coltivato una pianta.  Queste politiche di fatto hanno creato il
mercato nero delle sostanze illecite, un mercato totalmente libero nel quale è
possibile avere enormi profitti, e paradossalmente,  nonostante i loro continui
fallimenti nel ridurre il volume dei traffici e i livelli di consumo delle
droghe, queste strategie non sono mai state messe seriamente in discussione, 
anzi sono state potenziate e rafforzate negli aspetti più repressivi, arrivando
ad essere la principale causa di carcerazione mondiale. In nome di un astratto
ideale di Società libera dalle droghe, ingenti risorse statali sono finite nella
casse di apparati repressivi  creati ad ok, che hanno messo in campo le loro
politiche di  Tolleranza Zero ed hanno contribuito, non di certo ostacolato, al
rafforzamento delle criminalità organizzate,  alla diffusione delle sostanze
stesse e dei modi più rischiosi di assumerle.
In un regime proibizionista i
rischi connessi al consumo di sostanze crescono vertiginosamente e vanno ben
oltre ai rischi connessi alla sostanza in sé, per esempio: impossibilità di
sapere la concentrazione reale della sostanza che si crede di assumere ed  il
tipo stesso di sostanze con le quali è stata tagliata. Molti non pensano al
fatto che la merce droga è una Merce Speciale, non una merce come tutte le
altre, perché se un’automobile è sempre un’automobile, una pistola sempre una
pistola, dal produttore fino ad arrivare al consumatore, un chilo di eroina,
grazie alla magia del proibizionismo, dall’Afganistan all’Italia diventano venti
chili.
 Oggi, in Italia, questa ipocrita battaglia  è condotta  da una delle
normative mondiali più dure in materia, dalla legge Fini Giovanardi sulle
sostanze stupefacenti, con la quale tutte le sostanze sono state messe sullo
stesso piano e i timidi tentativi di un’azione di riduzione dei danni, resi già
difficili dalla precedente legge in materia (legge Iervolino-Vassalli),  sono
stati letteralmente travolti da un’azione repressiva totale. Le conseguenze sono
state la maggiore diffusione di sostanze pesanti e la trasformazione di una
questione culturale, politica e sociale in una questione esclusivamente medica e
penale.
       Questo appello ha l’obiettivo non solo di far  riflettere su
una situazione che diventa giorno per giorno sempre più insostenibile, di un
proibizionismo che va ad alimentare piuttosto che a risolvere le problematiche
che ufficialmente dichiara di voler  contrastare, ma anche quello di costruire
una rete sociale capace di mettere in piedi un percorso concreto, fatto di
sperimentazioni pratiche, che produca un avanzamento in materia . E’ sempre più
urgente un’opposizione sociale che si organizzi e che faccia sentire le sue
ragioni e la sua voce al fine di fondare un’alternativa concreta ad un tale
stato di cose.
Il superamento del proibizionismo non solo è possibile ma è
diventato indispensabile.
 Crediamo fermamente che  una riflessione sincera
di tutti, insieme alla sperimentazione di pratiche di riduzione del danno,
ispirate ad una cultura del consumo critico e consapevole, fondate
sull’informazione,  possano concretamente  superare le problematiche attuali
connesse al consumo di sostanze ed evitare tanti morti, principalmente causate
dalla clandestinità in cui il proibizionismo costringe ad agire.
Non c’è mai
stata questa possibilità, ad un rischio ipotetico provenienti da un eventuale
legalizzazione,  sono stati preferiti  fallimenti concreti e tangibili e le
immani sofferenze causate dalla repressione.
 Qualcuno sta giocando con le
nostre vite e sta facendo soldi sulla nostra pelle.
Se è in ballo la nostra
libertà e la nostra stessa esistenza, allora dobbiamo essere noi a condurre le
danze, dobbiamo lottare affinché il diritto all’autodeterminazione non rimanga
lettera morta.
Né malati, né criminali, ma gioiosamente
illegali.
Autoproduzione unica soluzione.

CANAPISA 2008 – 
MANIFESTAZIONE ANTIPROIBIZIONISTA
SABATO 31 MAGGIO –  PISA
Dedicata ad
Aldo Bianzino.

 

 per adesione e partecipazione   e-mail:     canapisa@inventati.org
 

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Mamma fuma marijuana una volta al giorno per un mese intero.

Fuma marijuana una volta al giorno per un mese intero. Per vedere l’effetto che fa

L’inglese Nicky Taylor non nuova a queste «imprese»: l’anno scorso non si lavò per sei settimane

 

Nicky Taylor (da Bbc.co.uk)

LONDRA – Paranoia, attacchi di panico, ansia,
apatia, aumento di peso e assoluta mancanza di concentrazione anche per
fare le cose più semplici. Sono le conseguenze di un «esperimento»
messo in atto da Nicky Taylor: fumare marijuana una volta al giorno per
un mese intero. Il tutto filmato in un documentario della Bbc.
L’inglese, madre di tre figli, si è anche fatta iniettare
tetraidrocannabinolo (thc), il principio attivo della marijuana, per
vedere gli effetti di una dose massiccia assunta tutta insieme.
L’esperimento della Taylor prende spunto da un altro documentario, Super Size Me,
in cui l’americano Morgan Spurlock mangiava per un mese intero tre
volte al giorno solo da McDonald’s con il risultato di ingrassare di
undici chili e riportare gravi danni a livello epatico.

SKUNK – Sin dalla prima canna
fatta con lo skunk, la variante più potente di cannabis che si fuma
oggi, la Taylor ha iniziato ad avere paranoie, paure e incapacità a
fare le cose più semplici. «Ero terrorizzata. Subito sono diventata
paranoica, con attacchi di panico. A un certo punto avevo il terrore di
alzarmi dalla sedia. È stato uno dei momenti peggiori della mia vita»,
ha detto la donna, non nuova a queste imprese. Lo scorso anno, per esempio, non si è lavata per sei settimane, sempre seguita dalle telecamere.
Al termine dell’esperimento, la donna – che aveva fumato marijuana
l’ultima volta quando era studentessa vent’anni fa – è anche
ingrassata, ha registrato apatia e mancanza assoluta di concentrazione.
Test condotti a metà dell’esperimento hanno notato livelli di psicosi
superiori rispetto agli schizofrenici. Nicky era consapevole del fatto
che oggi la marijuana, causa le modifiche genetiche che hanno creato la
variante detta skunk, è molto più potente e pericolosa di quella fumata
in gioventù: «In quella naturale c’è il 3-5% di thc, nello skunk c’è il
10-15%». Nel Regno Unito c’è ormai da qualche anno il dibattito
sull’opportunità di riconsiderare la depenalizzazione della cannabis:
quando fu declassata infatti non era potente come la sostanza che
circola oggi.

 

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Bollettino di guerra (alla droga) 2007: in aumento morti e carcerati

Italia. Bollettino di guerra (alla droga) 2007: in aumento morti e carcerati
 

  Sono 589 i morti per droga in Italia nel 2007, 38 in piu’ dell’anno scorso. Il dato emerge dalla Prelazione annuale relazione annuale della Direzione centrale servizi antidroga, pubblicata oggi.
Dei 589 morti, il piu’ giovane aveva soltanto 16 anni mentre il piu’
vecchio ne aveva 71; gli stranieri deceduti sono invece 44. Prendendo
in considerazione le statistiche relative ai quattro anni precedenti
c’e’ stato dunque un aumento del numero dei morti rispetto al 2006, una
diminuzione rispetto sia al 2005 sia al 2004 (in entrambi gli anni sono
state 653 le vittime) e un incremento nei confronti del 2003, quando
furono 517 i morti per droga.
Dalla relazione emerge poi che le fasce di eta’ piu’ a rischio sono
quelle che vanno dai 30 ai 34 anni e dai 35 ai 39: nella prima sono
morti per droga 117 uomini e 9 donne; nella seconda 117 uomini e 7
donne. La maggior parte delle vittime le ha fatte l’eroina: 234 casi su
589; 36 sono invece morti per abuso di cocaina, uno ciascuno per oppio,
hashish, barbiturici e anfetamine. 315 sono invece i casi in cui la
sostanza non e’ stata indicata.
Analizzando i dati divisi territorialmente si scopre poi che oltre la
meta dei morti, 319, si sono registrati in sole quattro regioni:
Campania (112), Lazio (105), Lombardia (55) ed Emilia Romagna (47).
Quanto alle province, Roma (83), Napoli (68), Perugia (32) e Milano
(23) raccolgono ben 206 vittime su 589: in pratica un morto ogni tre
per droga (il 31,07 per cento) a livello nazionale si registra a Roma,
Napoli e Perugia.

SEGUESTRI – Nel 2007 in Italia sono stati sequestrati
complessivamente 31.680 kg di sostanze stupefacenti, il 4,49% in meno
rispetto all’anno precedente con un forte incremento, pero’, dei
sequestri di droghe sintetiche (+193,67%) e di eroina (+42,96%).
Lieve aumento anche per i sequestri di hashish (+0,42%), mentre in calo
risultano i sequestri di cocaina (-15,32%) e di marijuana (-8,77%),
"forse determinati – spiegano gli analisti – dai numerosi e
significativi risultati positivi registrati negli ultimi anni dalle
forze di polizia che potrebbero avere indotto i narcotrafficanti a un
momentaneo rallentamento dei flussi".
"I sequestri di droghe sintetiche – avverte la relazione – non indicano
probabilmente l’effettiva consistenza delle importazioni e dello
smercio di queste sostanze trattandosi di un traffico alquanto
frammentato, spesso gestito da soggetti estranei alla cerchia
macrocriminale, che mutano frequentemente e che rendono pertanto piu’
difficile l’individuazione dei traffici".
Sempre piu’ in evoluzione il mercato delle droghe meno diffuse: in
particolare si segnalano i sequestri di 1.030.000 compresse di
diazepam, di 1.478 kg di khat, di 37.020 dosi di amfepramone propione,
nonche’ di 4,81 kg, 45 litri e 3.621 dosi di metadone e di 2,24 kg di
psilocibina.
I narcotrafficanti operanti in Italia "si sono riforniti per lo piu’
presso il mercato colombiano per la cocaina, transitata principalmente
per l’Ecuador, l’Olanda, la Spagna e l’Argentina; quello afgano per
l’eroina, transitata soprattutto per la Turchia e l’Albania; quello
marocchino per l’hashish, transitato in particolare per la Spagna e
l’Olanda; quello olandese per le droghe sintetiche". Anche la marijuana
e’ in gran parte giunta in Italia transitando per l’Olanda.
Una curiosita’: sempre nel 2007, non e’ stato scoperto nel nostro paese
alcun laboratorio clandestino in uso ai narcotrafficanti, a conferma
della "predilezione all’import della droga gia’ raffinata da parte dei
gruppi criminali nazionali".

SEGNALAZIONI E ARRESTI – Nel corso del 2007 le persone
segnalate all’autorita’ giudiziaria per violazioni della normativa
sulla droga sono state complessivamente 35.238, in crescita del 6,68/%
rispetto all’anno precedente. Il dato viene citato nella Relazione
annuale: se disarticolato e’ la somma di 27.490 arresti, 7.305
denunciati in stato di liberta’ e 443 irreperibili.
Il primato per numero di segnalati alla magistratura spetta alla
Lombardia (5.952), seguita dal Lazio (3.877) e Campania (3.793).

OPPIO AFGANO – Il 93% dell’eroina mondiale viene oggi prodotto in Afghanistan e tale produzione eccede, di circa il 30%, la domanda globale.
"E’, quindi, ragionevole attendersi in Europa, nell’arco dei prossimi
due anni,  una nuova ondata di eroina caratterizzata da un verosimile
abbassamento dei prezzi e da un superiore grado di purezza, fattori che
potrebbero causare un nuovo aumento del numero delle tossicodipendenze
ed una possibile crescita dei decessi per overdose".
La produzione di eroina in Afghanistan rappresenta una sostanziale
novita’. In passato, infatti, l’oppio afgano veniva esportato nella sua
forma grezza e le successive fasi di lavorazione e trasformazione,
prima in morfina e poi in eroina, avvenivano nel tragitto verso i
mercati di consumo, ed in particolare in Pakistan e Turchia. Oggi, al
contrario, si stima che circa il 70% dell’oppio afgano subisca i
procedimenti di raffinazione all’interno dell’Afghanistan stesso per
poi essere indirizzato verso i mercati di destinazione, in particolare
russo, europeo, cinese ed americano, alimentando anche quelli delle
aree di transito, sempre piu’ afflitte dal fenomeno delle
tossicodipendenze e delle infezioni dal virus dell’HIV.
Secondo alcune stime ufficiali, nella coltivazione del papavero e nella
produzione di oppio sono coinvolti 2,9 milioni di persone in
Afghanistan, vale a dire il 13 per cento della popolazione.

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Ecco i preservativi e le cartine per fumare arcobaleno

 

 I giovani della Sinistra arcobaleno lanciano la loro campagna
elettorale presentando due ‘gadget’ destinati a fare polemica:
"preservativi arcobaleno e cartine per fumare arcobaleno".
In Italia, hanno denunciato gli esponenti di Network giovani dell’Arcobaleno, in una conferenza stampa a Montecitorio con Wladimir Luxuria e Francesco Caruso,
"il 25% dei giovani tra i 14 ed i 35 anni fa uso abituale di cannabis
e, quindi, secondo l’attuale legislazione un ragazzo su 4 in Italia e’
considerato un criminale e merita di andare in galera. Tutto questo
mentre le grandi organizzazioni criminali continuano ad arricchirsi
impunemente, producendo un mercato illegale che si aggira intorno al 3%
del Pil. Vogliamo parlare a questi ragazzi, lanciando un messaggio:
autocoltivazione contro tutte le mafie".
Discorso analogo per i preservativi "in un paese dove le liberta’
sessuali sono calpestate ogni giorno dalle encicliche papali e dalle
filippiche di Ruini. Abbiamo voluto dire che si puo’ scegliere
liberamente, e che lo stato deve garantire la salute dei cittadini.
Vogliamo la pillola del giorno dopo gratuita in tutte le farmacie,
l’introduzione della pillola abortiva Ru486, il riconoscimento dei
diritti di tutte e di tutti a costituire una famiglia di qualsiasi
orientamento sessuale".
Due gadget per due temi che non esauriscono l’impegno dei giovani della
Sinistra arcobaleno, come dimostra la candidatura di Ciro Argentino,
giovane operaio della Thyssen. "I diritti non sono di parte eppure solo
una parte ne chiede l’estensione: la Sinistra arcobaleno". E quindi
"lotta a ogni forma di precarieta’, liberta’ delle donne, tutela
dell’ambiente, accesso ai saperi, diritto alla casa, antiproibizionismo
e lotta alle mafie", tutte "questioni che riguardano da vicino la
nostra generazione. Giovani, precari e precarie, studenti e
studentesse, ragazzi e ragazze: la nostra campagna per la Sinistra
arcobaleno parla la lingua di una generazione che vuole cambiare la
politica".

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Come ti muovi ti impasticco

Forse qualcuno avrà già
sentito parlare del disease mongering  

Mauro Croce, Gian Paolo Di Loreto
Forse qualcuno
avrà già sentito parlare del disease mongering . E’ una
strategia utilizzata dall’industria farmaceutica per incrementare gli
utili attraverso una serie di specifiche azioni, ad esempio
indirizzare l’attenzione clinica e di ricerca su patologie croniche e
di forte diffusione (con buona pace delle persone affette da malattie
rare il cui "poco mercato" non merita grandi investimenti),
abbassando i livelli-soglia di rischio, ma alzando quelli di
redditività di farmaci che non devono essere somministrati ai
fini della guarigione, ma per mantenere gli assuntori "sotto
cura e sotto controllo" praticamente per tutta la vita.
Ma
non è sufficiente abbassare le soglie di rischio. Ecco che
allora ciò che sino a qualche anno fa era considerato normale
ora viene considerato patologico, e pertanto vengono individuate
"nuove malattie". La lista è lunghissima, sino a
contemplare la "sindrome delle gambe irrequiete", sindrome
che necessita prima di essere "scoperta", quindi di essere
combattuta tramite l’individuazione di un farmaco ad hoc ed infine,
inevitabilmente, richiede di trovare "pazienti" affetti da
tale sindrome. Non è un caso che gli investimenti in marketing
da parte delle aziende farmaceutiche si rivelino di molto superiori a
quelli in ricerca.
Ancora, desta una notevole impressione la
recente notizia che un farmaco come il Prozac non risulterebbe
efficace nei casi di depressione lieve, impressione che si accentua
al sospetto che tale mancanza di efficacia possa derivare non tanto
da un’azione farmacologicamente carente, quanto dalla scadenza del
brevetto (con la conseguenza che le case farmaceutiche tenderebbero a
svalutare il Prozac per poter poi lanciare sul mercato altri
brevetti).
Fatto sta che leggendo come patologiche numerose
manifestazioni della vita normale e facendo leva sulla paura della
morte, si incentiva il continuo ricorso a strutture sanitarie e al
sovratrattamento farmacologico di ogni sintomo da parte di un
cittadino stretto fra il timore della malattia e l’aspettativa nel
potere salvifico della medicina.
Di converso, anche comportamenti
e scelte (o forse non scelte…) soggettive ben si prestano a
suscitare un certo interesse da parte della medicina e delle aziende
farmaceutiche: eccessi o inibizioni sul piano sessuale, nell’uso di
internet, nel lavoro, nel gioco d’azzardo, nelle relazioni e negli
affetti, negli acquisti ed anche nello sport diventano sempre più
punto di osservazione, di studio, di interesse da parte della
medicina, ed eccoli quindi inseriti a pieno diritto nelle "nuove
patologie" o, nello specifico, nelle "nuove sindromi da
addiction", sempre più consone ad inglobare momenti ed
eccessi tipici della vita di ognuno di noi. L’operazione è
semplice. Il primo passo sta nel creare un allarme sociale (nuove
malattie, nuove sindromi di cui ognuno potenzialmente è a
rischio); in secondo luogo ci si appropria di questo campo (questi
comportamenti sono individuati, spiegati e di dominio della
medicina), in terzo luogo vengono catalogati (inserimento nei manuali
diagnostici) e finalmente giunge la rassicurazione che sono in corso
ricerche, sono o saranno a disposizione farmaci, linee guida.
Questo
non significa che il problema del rischio, dei costi sociali, delle
problematiche aperte da tali questioni non esistano. Anzi. Piuttosto
si pone la questione se tali problemi siano di competenza della
medicina o meno. Come nota infatti Eliot Freidson nel saggio La
dominanza medica «la professione medica si arroga il diritto di
decidere cosa sia la malattia e a che cosa sia collegata, nonostante
la sua incapacità di trattarla efficacemente. Questo ci
dimostra che l’acquisizione di importanza sociale di un valore come
la salute va di pari passo con la nascita di un veicolo per questo
valore, una categoria organizzata di professionisti che ne reclamano
la giurisdizione. Una volta ottenuta ufficialmente tale
giurisdizione, la professione è pronta a creare i propri
concetti specializzati per definire che cosa sia la malattia. Benché
la medicina non sia indipendente dalla società in cui opera,
nel momento in cui diventa il veicolo di valori sociali, giunge ad
assumere un ruolo fondamentale nella formazione e nella definizione
dei significati sociali che tali valori contengono. Resta da vedere
quale sia la portata di questo ruolo».

Non punire, ma
sedurre
Quest’ultima notazione ci introduce all’interno di un più
ampio piano di lettura del fenomeno, che tenta di dar conto della
medicalizzazione della devianza come processo diffuso, nonché
chiave di volta per comprendere l’affermazione di un certo potere
sottile, discreto e pervasivo. È quello che ci rammenta Michel
Foucault in Sorvegliare e punire evidenziando il fatto che proprio su
strumenti come l’esame, su modalità operative quali la
catalogazione, la classificazione, la documentazione e
l’individualizzazione, si sia fondato il passaggio verso un certo
modello di società del controllo e della disciplina. Questi
elementi, che trovarono terreno di coltura proprio in ambito clinico
(cioè in quei "laboratori" che sono gli ospedali del
XVIII secolo), non limiteranno poi il proprio raggio d’azione al
manicomio e all’ospedale, ma si riveleranno ben funzionali alla
gestione ed organizzazione di altre comunità "necessarie"
e totalizzanti, quali sicuramente la caserma, il carcere e per molti
versi la fabbrica.
Da qui, dalle istituzioni totali, il sistema
"medicalizzante" troverà poi progressiva diffusione
nel resto della società, rendendo sistematiche le procedure di
normalizzazione e controllo fino a farne la spina dorsale di un
preciso modello di regolazione socioeconomico e politico o, per
meglio dire, biopolitico.
Ma sarebbe ingenuo pensare oggi che la
diffusione della medicalizzazione, anche di quella della devianza,
sia rimasta ancorata ad un mero presupposto disciplinare ed
organizzativo. Prova ne sia che se da un lato vi è ormai la
stabile acquisizione che il processo di medicalizzazione collettiva
della vita (ben prima che della devianza!) sia un processo necessario
ed ineluttabile, in quanto rispondente ad esigenze di carattere
medico-sociale (tutt’altro che scevre, come sopra rimarcato, da
pressioni economiche), dall’altro i processi di individualizzazione
che hanno avuto luogo in occidente negli ultimi 30-40 anni non hanno
affatto sgretolato i dispositivi di controllo basati sulla
medicalizzazione, piuttosto li hanno sottoposti ad una certa
mutazione. L’individuo tardo-moderno o post-moderno, differenziato,
autonomizzato ed isolato, rappresenta difatti un "oggetto"
di attenzione ancor più esposto alle manipolazioni di un
potere mai così raffinato, in grado di esprimere controllo
sociale non tanto per il diretto ricorso a disciplinarità e
sanzioni, quanto attraverso la mirata stimolazione di desideri e la
incessante proposizione di modelli, all’interno dei quali l’input
alla salute ed al benessere diviene generale, inevitabile e doveroso
fondamento del principio di successo individuale.
A ciò si
aggiunga che questa volontarietà alla base dell’attuale
biopotere si raccorda perfettamente con la volontarietà
dell’accesso a certi benefici o servizi erogati proprio in quegli
ambiti bio-socio-tecnologici volti a regolare, organizzare e
monitorare il comportamento umano.
È chiaro, quindi, come
ciò che oggi si definisce come controllo non si focalizza su
pratiche costrittive, né su espressioni e comportamenti
oppressivi, ma nell’organizzazione e nella contestualizzazione di ciò
che è spesso progettato o addirittura desiderato da un libero
soggetto: nell’indicargli modelli di vita, di consumo, di
prestazione. Salvo poi ritenerlo malato se "non riesce a
controllarsi" nei consumi e negli eccessi. Salvo poi
stigmatizzarlo se "eccede". Salvo poi colpevolizzarlo se
non ricorre alle cure per il suo disturbo.
Il meccanismo opera in
particolare sul piano delle sostanze o dei comportamenti "non
illegali", dove il consumo è libero, non ostacolato o
spesso addirittura costruito attorno a comportamenti socialmente
incentivati, senza che tuttavia vengano minimamente messi in
discussione i modelli culturali e l’organizzazione sociale ed
economica che gravitano proprio attorno a questi consumi.
Ed è
a questo punto che intervengono i "saperi esperti" i quali,
come ha evidenziato sempre Foucault (vedi Tecnologie del sé ),
divengono di centrale importanza nei processi di normalizzazione che
partono dalla individuazione delle possibili buone condizioni di
salute e dalla definizione delle corrette regole di comportamento a
cui i soggetti sono chiamati a conformarsi. Non si tratta più
quindi di "sorvegliare e punire" (apparato che richiama
paranoici modelli ottocenteschi o modelli inapplicabili) ma di
prevenire e curare, preferibilmente all’interno di un approccio
riduzionista che si declina in prevalenza su un versante
biologico-individuale, riconducendo cioè l’essere umano ad una
"semplice questione somatica": ecco infatti che
quotidianamente sui giornali leggiamo come sia stato scoperto in un
qualche laboratorio il gene, il meccanismo biologico, il tratto
somatico di tutto ciò che ci dà fastidio negli altri o
che vogliamo giustificare in noi (la violenza, l’aggressività,
la tossicodipendenza), o che vogliamo cambiare o di cui ci
vergogniamo. Ed ecco allora la pillola – già anticipata e
pubblicizzata – che risolverà il problema, e che rappresenta
anche la chiusura di un cerchio già delineato.

Dal
peccato alla malattia
«Una volta rimosse etichette come
crimine e peccato, ciò che viene fatto al deviante è
per il suo bene, per aiutarlo invece che punirlo, anche se il
trattamento può, in alcune circostanze, rappresentare una
pratica restrittiva. Le opinioni del deviante non vengono tenute in
considerazione perché egli è considerato un profano
inesperto, privo della conoscenza specializzata o del distacco che
gli darebbero il diritto di fare sentire la sua voce» (la
descrizione è ancora di Freidson).
Il progressivo
slittamento di molti comportamenti considerati devianti,
incomprensibili, disturbanti dal dominio della Chiesa (è
peccato), a quello del Diritto (è reato), per giungere a
quello della Medicina (è malattia), comporta tuttavia i rischi
di un controllo più strisciante, più subdolo, la cui
sostanziale accettazione sociale garantisce spazi di manovra e di
legittimazione in territori prima stranieri. Se ieri un uomo doveva
essere pio e timorato di Dio, e quindi rispettoso delle leggi e delle
convenzioni, oggi l’ideale è quello di un uomo "sano"
e la salute (o la mancanza di essa) diventa il luogo ove scoprire e
svelare il peccato, la colpa o i propri limiti ed inadeguatezze: si
pensi ad esempio al "caso Viagra". Le "nuove sindromi"
sono costruite e definite da una algebrica sommatoria di più
criteri comportamentali che non si interrogano circa la comprensione
dei meccanismi, dei significati, dei vissuti, delle evoluzioni e dei
bisogni che tali "dipendenze" sembrano allo stesso tempo
circolarmente soddisfare e creare. I problemi e gli ostacoli che le
persone incontrano diventano, quindi, diagnosi e il processo prevede
la trasformazione e l’accettazione del passaggio da trasgressore a
malato.

Oltre la cura: la statistica "preventiva"
Ma
lo scenario si va frastagliando, e inizia a sorgere più di un
dubbio circa il fatto che la medicalizzazione della società in
generale, e la medicalizzazione della devianza in particolare,
governino da sole gli attuali processi di controllo sociale. Forse
non è un caso che le tendenze nel crime control e nel
contrasto alla devianza degli ultimi trenta anni abbiano via via
spostato l’attenzione dalle caratteristiche cliniche e sociali
dell’autore del delitto alle concrete modalità di commissione
dei reati ed alle situazioni ed al contesto fisico ove il reato viene
perpetrato.
Così come non è casuale l’emersione di
un approccio preventivo cosiddetto attuariale, volto ad operare su
una base quantitativa e probabilistica e tendente al controllo
tramite una valutazione anticipata del rischio, rinvenibile sia nelle
specifiche caratteristiche individuali del singolo soggetto, quanto
in quelle generali della classe o del gruppo di cui fa parte, secondo
un criterio preventivo, astratto e statistico che non ha più
alcun bisogno di quella finalità trattamentale o
risocializzante che accompagna, in buona parte, proprio certi
processi di medicalizzazione.
Sembrerebbe pertanto configurarsi
uno scenario tardo-moderno nel quale il biopotere sa muoversi ed
agire in modo fluido ed adattabile, utilizzando strumenti diversi in
base alle diverse caratteristiche dei soggetti da controllare: su
alcuni di essi può essere più efficace medicalizzare e
"trattare", oppure indurre e stimolare; su altri rimane
preferibile valutare il rischio ed escludere.

19/03/2008

Posted in Generale | Comments Off on Come ti muovi ti impasticco

La condizione del lavoratore nell’era post-industriale: produttore di beni e consumatore di stupefacenti

 

 

17-3-08

 

Intervista di Sabatino Annecchiarico con Francesca Coin* – da informationguerrilla.org

Il
consumo di sostanze stupefacenti ha precisamente un triplice scopo:
stimolare la produzione, manipolare l’essere umano per renderlo piu’
simile alla macchina e farlo diventare il piu’ possibile docile. Con
l’entrata della digitalizzazione nella produzione di beni, negli ultimi
decenni il mondo capitalista ha subito una trasformazione nella
produzione con alti profitti senza precedenti nella storia.

Allo
stesso tempo, si è verificato un aumento del consumo di sostanze
psicotrope e di alcol da parte dei lavoratori che producono questi
beni, realizzando con il proprio malessere gli alti profitti del
capitale. Francesca Coin, nel suo recente saggio “Il Produttore
Consumato. Saggio sul malessere dei lavoratori contemporanei” (Ed. Il
Poligrafo, Padova, 2006. €23,00) delinea questa trasformazione partendo
dalla constatazione
che, secondo la sociologia “ufficiale”
«Nell’era post-industriale i lavoratori non sono più il perno della
vita sociale. Essi non sono più al centro né delle fabbriche né delle
piazze. Il loro ruolo economico e politico è oramai marginale, e
parimenti poco importanti sono diventate le loro storie di vita. Ma, a
clamorosa smentita di una tale presunta marginalità, all’alba del terzo
millennio i lavoratori sono il bersaglio primo delle riforme economiche
e politiche del libero mercato, che avanza precisamente sulle schiene
della classe lavoratrice mondiale».

Nella
sua ricerca lei si sofferma in modo particolare sul crescente ricorso
di droghe che fanno i lavoratori, un uso in risposta alle difficoltà e
alle loro sofferenze che il mondo del lavoro infligge. Diversi studiosi
hanno già trattato questo argomento. Dov’è la novità della sua ricerca?

Fino ad oggi è stato trattato questo problema
prevalentemente in chiave psicologica, osservando il malessere dei
lavoratori come un male individuale. La novità di questo saggio è
l’approccio collettivo con cui ho affrontato questo malessere. Un
malessere inserito dentro il mondo stesso della produzione capitalista.

Lei
sostiene che questa produzione di beni è connessa, in modo
inestricabile, con la produzione di malessere di chi produce questi
beni. Da dove parte per sostenere queste affermazioni?

Nel mondo capitalista abbiamo un mercato del lavoro che richiede sempre
un maggiore sforzo da parte del lavoratore, sia nell’aumento delle ore
lavorative che nell’intensità propria del lavoro. Osservando i paesi in
cui le ore di lavoro variano tra 12 e 72 ore continuative, senza
interruzione, ad esempio quelle delle zone di libero scambio
commerciale del Centro e un Sud America, spesso le anfetamine sono
somministrate direttamente dal datore di lavoro con lo scopo di portare
a termine turni di lavoro massacranti. Si è passati da un assenteismo a
un iper-presenteismo sul posto di lavoro.

In Europa accade la stessa cosa?

Abbiamo in Europa le testimonianze dei sindacati inglesi, che ci fanno
sapere che la gran parte dei lavoratori inglesi hanno problemi di
tossicodipendenza e di alcolismo. In Italia la cosa non è molto
diversa. Si dice con leggerezza che la tossicodipendenza riguarda
prevalentemente i giovani. Giovani studenti: una generazione spesso
collegata con le stragi del sabato sera. La realtà è diversa. Il 70%
dei consumatori di droghe non è costituito da studenti bensì da
lavoratori dipendenti. C’è un forte malessere dei lavoratori in
fabbrica, i turnisti ad esempio, compensano questo malessere con l’uso
di droghe e farmaci. Questo fatto è dovuto a due bisogni effettivi
della produzione capitalistica: quello di lavorare sempre di più e
quello di consumare sempre di più. Da una parte c’è bisogno dell’
iperlavoro, il quale è in continua crescita, utile ad abbassare i costi
di produzione. Dall’altra c’è il bisogno di consumare quello che si
produce. Siamo paradossalmente in un’epoca della storia in cui la
possibilità di consumare è la più alta in assoluto: tanti beni a
disposizione. Ma nello stesso tempo, tale consumo non aiuta
l’emancipazione dei lavoratori, bensì principalmente la produttività
economica e l’obbedienza politica. Il consumo di sostanze stupefacenti
ha precisamente un triplice scopo: stimolare la produzione, manipolare
l’essere umano per renderlo più simile alla macchina e farlo diventare
il più possibile docile. Un esempio di tale “pacificazione” è il modo
in cui nel 1968 l’LSD fu somministrata in massa ai contestatori
nordamericani quale “antidoto all’attivismo politico”.

Alla luce di tutto ciò, come reagisce il sindacato in Italia?

In Italia il sindacato reagisce come può, nel senso che in un contesto
caratterizzato dalla decentralizzazione produttiva il sindacato è
sempre più stretto dalla necessità di garantire il posto di lavoro e
mantenere la capacità contrattuale del salario. Schiacciato tra queste
due realtà, il sindacato chiude un occhio a tutto il resto. Ed è così
che emerge un sindacato senza una autentica forza contrattuale, risorse
politiche o motivazioni per affrontare il disagio dei lavoratori.

Ci sono esempi che testimoniano questa debolezza sindacale?

Nell’inchiesta che ho fatto nella zona industriale del Nordest
d’Italia, di alta densità produttiva, volevo verificare quanti
lavoratori facessero uso di droghe o di antidepressivi. Di fronte alla
mia ricerca il sindacato si è tenuto in disparte, non ha preso una
posizione esplicita.

E le politiche dei governi, che ruolo hanno?

Le politiche dei nostri governi sono connesse all’economia dello Stato
e quindi soggette alle necessità di profitto della produzione
capitalistica. In quest’ottica essi fanno leggi che puntano sempre di
più alla precarietà e alla flessibilità del lavoro, invece che al
benessere dei lavoratori.

A questo punto la soluzione sfuma.

La soluzione al problema? No, non sfuma. La cosa che mi preme
sottolineare è che il benessere dei lavoratori non è marginale alla
lotta dei lavoratori stessi o del sindacato. È centrale. L’opposizione
collettiva è l’unica possibilità d’uscita da quella disperata ricerca
di auto-gratificazione dalle dipendenze. Come scriveva Jervis negli
anni settanta, la nevrosi operaia si sviluppa nella misura in cui
l’operaio non riesce ad inserire in una struttura collettiva di
protesta il proprio rifiuto, perché l’unica terapia è l’azione politica
dei lavoratori. in questo senso non c’è stato provvedimento in Italia
ed in Europa in cui il desiderio governativo di trasformare il lavoro
in un processo precario, flessibile e sottopagato non sia stato accolto
con una vera e propria lotta nelle piazze. Vi è stata una grande
risposta quando si è voluto cancellare l’articolo 18 dello Statuto dei
lavoratori. Ancora una volta sono stati gli stessi lavoratori a
mostrare la soluzione.

Lei fa riferimenti espliciti al coinvolgimento dei governi?

Se guardiamo il mercato delle droghe nel corso della storia vediamo che
spesso i governi occidentali sono stati implicati in un modo o in un
altro nella somministrazione di sostanze psicotrope alle popolazioni.
Se ci pensiamo, il consumo di massa di sostanze psicotrope è cominciato
con la rivoluzione industriale prima e con il colonialismo poi, quando
questo commercio era considerato non solo uno strumento vantaggioso dal
punto di vista economico, ma anche uno strumento di pacificazione
politica. Si pensi solo alla politica coloniale dell’impero britannico
nei confronti della Cina, o al colonialismo olandese e francese nei
confronti dell’Indonesia e del Vietnam, o al ruolo delle droghe
nell’aumentare la ferocità conquistatrice dell’esercito statunitense, o
allo smercio di massa di LSD tra i manifestanti di San Francisco negli
anni Sessanta per ridurne le istanze di mobilitazione politica. Nei
ghetti neri degli Stati Uniti, ancora una volta la risposta l’hanno
data i lavoratori, che hanno messo in atto una campagna di
mobilitazione e denuncia contro il governo nordamericano, dopo che per
decenni questo aveva facilitato la diffusione di droghe pesanti nei
ghetti così da rispondere al problema dell’elevata povertà delle inner
cities con lan criminalizzazione dei poveri.

Abbiamo
parlato del mondo di produzione capitalista, dove esiste un padrone,
che è il proprietario della produzione e dei lavoratori. Esistono
tuttavia esperienze di lavoro dove sono gli stessi lavoratori a gestire
la produzione senza i padroni proprietari. Un esempio di riferimento
sono le fabbriche occupate in Argentina. Secondo lei, qui accade la
stessa cosa? Si verificano gli stessi malesseri e lo stesso consumo di
droghe?

Non ho fatto un’accurata ricerca nelle
fabbriche recuperate in Argentina, ma ho visto che, laddove il
lavoratori si autorganizzano, laddove il lavoratori si realizzano come
persone nell’ambito della stessa produzione di beni, laddove i
lavoratori sono liberi di decidere, essi non hanno bisogno dei
psicofarmaci per poter lavorare. Per cui, quello che ho visto nelle
fabbriche in cui la dignità e la responsabilità del lavoratore diventa
protagonista della stessa produzione, il sogno del benessere dei
lavoratori non ha bisogno di appagarsi con le droghe.

*Sociologa e ricercatrice nell’Universita’ Ca’ Foscari di Venezia e presso la Georgia State University di Atlanta (USA)

A cura di Sabatino Annecchiarico

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Gli scout del 21mo secolo: 47% dice si’ alla marijuana

Gli scout del 21mo secolo: 47% dice si’ alla marijuana
 


L’82% ritiene possibile ubriacarsi, il 47% fumare marijuana, oltre il
90% accetta il sesso prematrimoniale e piu’ del 42% non esclude di
poter far sesso con una persona sposata. E’ ritratto degli scout che
emerge da una ricerca condotta su 2.522 aderenti al movimento
provenienti da 25 paesi europei e iscritti a 39 diverse associazioni
scout, di eta’ compresa tra i 16 e i 21 anni. Sono stati sentiti 1.284
maschi e 1.238 femmine, di cui il 45% di nazionalita’ italiana. La
ricerca e’ stata presentata ieri nella sede della Provincia di Firenze.

Dal questionario emerge una apertura verso la trasgressione che si
allinea agli atteggiamenti prevalenti anche nel mondo giovanile non
scout e dominanti nella cultura contemporanea, dove e’ un dato di fatto
la relativita’ dell’etica e del senso di legalita’. Il 39% degli
intervistati non esclude di poter abortire, mentre quasi il 91% pensa
di poter usare materiale digitale piratato. Quasi il 50% del campione
e’ credente, il 16% si dichiara ‘in ricerca’, il 15% dice di essere
credente ma di non riconoscersi in nessuna confessione religiosa.
L’81% del campione e’ cattolico.

Gli scout europei, afferma ancora la ricerca, si sentono per il 50%
prevalentemente legati alla nazione e alla citta’ di provenienza e,
solo in seconda istanza, si proietta sull’essere cittadini del mondo
(48%) e poi dell’ Europa (39%). Tanti sembrano essere delusi dalla
politica: il 30% non ha nessuna fiducia nei partiti, il 20% non ne ha
nei funzionari dello stato e nei militari, il 42,5% non ha fiducia nei
politici. Al contrario, i giovani continuano a riporre fiducia nella
famiglia, oltre il 70%, nei loro capi scout (il 35%) e negli scienziati
(20%).

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Milano. Polizia: denunciati in un anno quasi 600 consumatori di droga

 
 

 
Nel periodo compreso tra il 26 marzo 2007 e 10 marzo 2008 l’Unità
operativa criminalità diffusa (Uocd) della Questura di Milano ha
arrestato 769 persone e ne ha denunciate 463. La stragrande maggioranza
delle persone fermate è rimasta coinvolta in operazioni contro lo
spaccio di stupefacenti, che hanno portato anche alla segnalazione
all’autorità prefettizia di 538 consumatori di droga

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