La marijuana cresce nelle case

   
MILANO
— L’ultima è stata scoperta dalla polizia ieri all’ora di pranzo, a
Bologna. Una pianta di marijuana in mezzo ai fiori sul balcone di
un’insospettabile (e inconsapevole) signora di 84 anni. L’idea era
venuta alla sua badante, che è stata denunciata. Due ore prima la
Guardia di finanza, sorvolando in elicottero le campagne vicino a
Pordenone, ha trovato 5 piantagioni con centinaia di piante alte due
metri e mezzo. La giovane «imprenditrice », scoperta anche con mezzo
chilo di roba pronta da vendere, è finita in carcere. Negli anni 70 e
80 arrivava dal Nord Europa, nei 90 è diventata monopolio degli
albanesi. Oggi la «gangja» è «made in Italy». Più facile da coltivare,
più potente. Al Sud cresce in grandi appezzamenti nascosti tra gli
aranceti, e gestiti dalla mafia. Al Nord in orti e giardini, coltivata
da consumatori-piccoli spacciatori che spesso non sanno di rischiare il
carcere. In tutta Italia in migliaia di cantine e ripostigli di
studenti universitari, operai e professionisti che si trovano nei blog
per darsi consigli. In fondo bastano 4 elementi: semi, acqua, terra e
luce. Nei «grow shop», i negozi specializzati, si vendono lampade ad
hoc per meno di 200 euro. Quando ci provavano i figli dei fiori, di
ritorno dall’India con dei germogli «introvabili», il risultato era
disastroso: troppo caldo o troppa pioggia, la canapa cresceva senza
sviluppare la sostanza attiva, il Thc. Adesso i semi che si comprano
via Internet e nei grow shop garantiscono sensazioni forti. «Si arriva
a un tasso di Thc del 24 per cento—spiega lo psicanalista Claudio Risé,
aurore di Cannabis (San Paolo), un saggio sui pericoli delle droghe
«leggere» —. Quattro volte tanto la marijuana tradizionale ». Il
cambiamento climatico, più umidità nell’aria e meno piogge, le nuove
tecniche di coltivazione «fai-da-te» e le microserre da interno fanno
il resto.
LA LEGGE E I NUMERI—La giurisprudenza italiana non è
chiara sulla coltivazione «casalinga» di marijuana in modiche quantità.
Secondo Paolo Iannucci, analista della Direzione antidroga della
polizia, «il concetto di uso personale in questo caso non è
applicabile: chi viene trovato con una pianta in casa rischia di finire
in carcere». Questo in teoria. In pratica, su 1.495.830 piante
sequestrate quest’anno, solo una cinquantina sono state trovate in
abitazioni private. «Il problema—continua Iannucci — è che la marijuana
viene coltivata dalle persone più insospettabili, in abitazioni dove le
forze dell’ordine non entrano nemmeno». E poi, in fondo, «è giusto
concentrare lo sforzo sui grandi produttori, sulla criminalità
organizzata che in Sicilia eCalabria coltiva centinaia di ettari».
Anche la Cassazione di recente ha mostrato orientamenti diversi. In una
sentenza del 10 maggio, stabilisce che coltivare marijuana «in modiche
quantità» sul balcone di casa è «una condotta penalmente irrilevante».
Tredici giorni dopo, di fronte a un coltivatore domestico con 14
piante, dichiara invece che «la coltivazione è vietata e sanzionata
penalmente anche qualora la finalità dell’agente sia il consumo
personale».
I «GROWERS» — Insospettabili. Lo dice la polizia, lo
confermano loro, i «growers», i coltivatori di marijuana per hobby.
Rigorosamente a uso personale. Il loro guru, che preferisce restare
anonimo, li descrive così: «Architetti e musicisti, medici e professori
di liceo. Studenti rasta e manager rampanti, anche di destra. Conosco
pure uno psichiatra: la sera cura la sua piantina per rilassarsi, per
staccare la spina». Ma quanti sono questi growers? «Almeno un paio di
milioni». Paolo Cento, oltre alle decine di proposte di legge sulla
depenalizzazione delle droghe leggere, ne ha presentata pure una «per
legalizzare almeno la coltivazione ». Per due motivi: primo, «dare un
colpo mortale alla criminalità organizzata»; secondo, «evitare i
contatti tra i giovani e gli spacciatori, vera porta d’ingresso alle
droghe pesanti». Risé non è per niente d’accordo: «La marijuana fatta
in casa è più pura e quindi più pericolosa. Grazie a Internet oggi
anche i ragazzini di 15 anni sono in grado di prodursi autentiche
bombe, capaci nel giro di qualche anno di distruggere loro il
cervello».
Paolo Beltramin
01 settembre 2007
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