E’ reato la
coltivazione di piante di canapa indiana: va incontro ad
una condanna chi
ne possiede anche una sola. Lo ha sancito la
Cassazione, confermando la
condanna, inflitta dalla corte d’appello
di Messina ad una donna, che aveva
coltivato nel balcone della sua
casa 8 piantine della specie ‘cannabis
indica’, il cui principio
attivo avrebbe consentito di ricavare un numero
di dosi compreso tra
28 e 43. La donna aveva presentato ricorso in
Cassazione lamentando
l’erronea applicazione del dpr 309/1990, con
riferimento alla
ritenuta rilevanza penale della condotta contestata di
coltivazione
domestica di un esiguo numero di piantine di canapa indiana,
destinata al consumo personale. Per la Suprema corte (quarta sezione
penale, sentenza numero 871) il ricorso va respinto: "la
giurisprudenza
costante, pur con alcune perplessita’ della dottrina,
ha ritenuto che la
coltivazione non autorizzata di piante – osservano
gli alti giudici – dalle
quali sono estraibili sostanze stupefacenti
o psicotrope, costituisce un
reato di pericolo presunto o astratto,
essendo punito ‘ex se’ il fatto
della coltivazione, senza che per
l’integrazione del reato sia necessario
individuare l’effettivo grado
di tossicita’ della pianta e senza che
occorra fare riferimento
alcuno alla sostanza stupefacente che da essa si
puo’ trarre e che
puo’ dipendere da circostanze contingenti, connesse alla
sua
crescita, al suo sviluppo ed alla sua maturazione". Per la
Cassazione, la figura criminosa "e’ costruita come reato di pericolo,
la cui sussistenza va quindi affermata ogni qualvolta venga coltivata
anche una sola piantina vitale e idonea a produrre sostanza
stupefacente, appartenente ad una delle specie vietate,
indipendentemente dalla percentuale di sostanza pura o di principio
attivo presente nelle infiorescenze e nelle foglie".
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