PERCHè
MIO FIGLIO è MORTO?
Cari
amici de il manifesto, sono il papà di Aldo Bianzino (morto di
percosse nel carcere di Perugia il 23/10 dopo essere stato arrestato
per detenzione di marijuana, ndr), vi chiamo amici perché, pur
non conoscendovi personalmente, vi ho sentiti vicini nella tragedia
che ci ha colpiti. Io e mia moglie desideriamo vivamente ringraziare
voi e tutti coloro che hanno seguito e raccontato i fatti. Un grazie
va a Luigi Manconi, al quale in particolare ci affidiamo perché
non molli e faccia di tutto per arrivare alla verità e
identificre i colpevoli, e alla signora Maria Ciuffi, la mamma di
Marcello Lonzi che era stata colpita da una tragedia uguale e che ci
ha scritto una lettera che voi avete pubblicato. Unisco a questa
lettera alcune mie riflessioni delle quali mi assumo in ogni caso
tutta la responsabilità scaricando eventualmente voi.
1.
Quelli che hanno massacrato Aldo si sono comportati come i componenti
della famigerata banda Kock, o come gli aguzzini di Videla o di
Pinochet. In quella gente però c’era una diversità:
combatteva, in modo ignobile, contro qualcuno, aveva una parte
avversa, inerme e debole, ma comunque avversa, che stava «dall’altra
parte», che, almeno ai loro occhi, si configurava come
«nemico». Lungi dall’essere una giustificazione, questa
se non altro può essere una spiegazione. Ma Aldo, di chi
poteva essere «parte avversa»?
2. Il direttore del
carcere chiama se stesso e la sua organizzazione fuori da ogni colpa:
ma in quel carcere, che si definisce «di sicurezza», non
era forse lui prima di tutti il responsabile di ciò che
avveniva, della vita e della salute di chi gli era stato affidato? Si
possono paragonare tra loro l’illegalità (secondo la legge
italiana attuale) di coltivare piante di cannabis e le sevizie
mortali (materiali, mentali, morali) inflitte ad un uomo? Eppure si
sente già aleggiare, tra i «benpensanti», la gente
«per bene», che in fondo era un drogato, quindi aveva le
sue colpe. La legge infame di cui sopra, tra l’altro, accomuna
marijuana e crack, eroina, cocaina, etc.: è come paragonare la
camomilla ai barbiturici. Quanto al tenore di cannabinolo contenuto
nelle piantine coltivate ai nostri climi, per una pianta che, a
quanto mi risulta, è acclimatata bene in Libano e in Messico,
credo ci sarebbe da discutere. Per l’accusa di spaccio, basta
ricordare che la perquisizione in casa di Aldo ha fatto trovare in
tutto 30 (trenta!) euro. E Aldo non aveva conto in banca o in
posta.
3. Mi dicono che il Pm che ha in mano l’inchiesta sia una
persona seria, che vuole andare a fondo e trovare i colpevoli. Ma è
quello stesso che ha fatto arrestare Aldo e la sua compagna.
Possibile che non avesse saputo che così facendo avrebbe
lasciato soli in una casa isolata sull’Appennino un minore
(quattordicenne) con la nonna ultranovantenne dalla salute
precaria?
4. Non ho nessuna fiducia che si arrivi a stabilire la
verità tramite la «giustizia» italiana. Abbiamo
troppi esempi in cui lo stato italiano ha coperto le colpe di delitti
e stragi su cui aveva interesse che la verità non venisse
fuori. Mi vengono in mente Piazza Fontana, Brescia, Bologna,
l’Italicus, Ustica, il G8 di Genova, l’assassinio di Pinelli, in cui
il primo responsabile a sua volta è stato messo a tacere in un
modo che ricorda parecchio il caso Kennedy, mandando poi in galera
gente che probabilmente non c’entrava affatto. Voglio vedere (ma
vorrei non vedere) se anche qui trionferà la logica degli
omissis (magari non dichiarati) del segreto di stato, della vergogna.
Siamo sicuri che tutte le morti avvenute in carcere in questi anni e
catalogate come «suicidio» siano state veramente tali?
5.
C’è un pezzo per pianoforte di Robert Schumann, triste, ma di
una tristezza quasi incredula, che ripete, in vari toni, la stessa
frase musicale che è una disperata domanda: si intitola
«Warum?», perché?
Giuseppe
Bianzino